È proprio a quest’ultima casistica che appartengono i Corrosion Of Conformity attuali. I ragazzoni di Raleigh, North Carolina, ritrovano dopo tempo il loro carismatico frontman Pepper Keenan, a seguito di una comunque fortunata decade dedicata a far da spalla ai DOWN del colosso Phil Anselmo, assieme ad altri rilevanti esponenti della forma metallica più sudista che ci possa essere, lo sludge metal.
Oltre dieci anni sono passati da quel (bellissimo) “In The Arms Of God”, momentaneo canto del cigno di una band che fu pioniera di uno dei sound più maschi del pianeta, impregnato di riff lenti e pesanti e totalmente debitore di quell’approccio chitarristico che rese eterni i Black Sabbath. I COC senza Keenan han continuato a vivere e non sopravvivere; Mike Dean è comunque onorabile compositore e il suo approccio più grezzo e diretto ci ha riportato per un paio di lavori indietro con le lancette dell’orologio, a rivangare (seppur in modo lieve) quei tempi in cui era l’attitudine hardcore punk a esprimere la carica dei nostri.
Il rientro di Keenan doveva per forza di cose rimescolare le carte in tavola e ristabilire il sound verso lidi più riconoscibili, preferibilmente se con un pizzico di freschezza. Basta una manciata di minuti di questo No Cross No Crown per spazzare via qualsiasi leggera insicurezza e ritrovare con prepotenza un ritmo autentico e inconfondibile: The Luddite è infatti un esempio perfetto di incedere incalzante e vocals piene ma taglienti in pieno stile mastodoniano, caratteristiche che regalano pronti via una delle perle indiscusse di tutto il lavoro.
“No Cross No Crown” è un LP lungo e soprattutto vario. Sebbene le influenze siano ben definite e riconoscibili, l’eterogeneità del songwriting dei Corrosion Of Conformity porta a diversificare notevolmente tra una traccia e l’altra, imbastendo un suono ricco di soluzioni che nemmeno per un attimo figurano approssimative. Così se Cast The First Stone ed E.L.M. sono brani arcigni e dettati da un ritmo sostanzioso, le più scanzonate Wolf Named Crow, Little Man e Forgive Me spostano l’ascolto verso un rock più facile e godereccio.
Ma ciò che più si fa apprezzare è la rinnovata autenticità con cui Keenan e soci mostrano come siano ancora capaci di suonare musica calda, pesante e ribollente di sudore. Old Disaster è un brano dotato di una fantastica chitarra di impostazione Zakk Wylde, che con i suoi Black Label Society risulta qualcosa più che una naturale citazione. Nothing Left To Say e A Quest To Believe (A Call To The Void) sono semplicemente i pezzi migliori di tutto il pacchetto: lunghi e poderosi quanto personali e intimistici; il celato marciume erutta in uno sludge prepotente ma all’occorrenza armonico, urlato ma al contempo sussurrato.
Con “No Cross No Crown” i Corrosion Of Conformity mostrano ancora una volta, se ce ne fosse davvero il bisogno, come dettar legge in forza del rispetto maturato in tanti anni di una onorevole carriera. Non è il semplice e banale compitino a cui molte band storiche ci abituano ogni giorno ma un disco vero e genuino, mosso dalla passione per un suono che hanno creato e sviluppato da protagonisti di una scena che solo negli ultimi anni ha potuto esprimersi fuori dai confini degli stati del Sud degli USA.
(2018, Nuclear Blast)
01 Novus Deus
02 The Luddite
03 Cast The First Stone
04 No Cross
05 Wolf Named Crow
06 Little Man
07 Matre’s Diem
08 Forgive Me
09 Nothing Left To Say
10 Sacred Isolation
11 Old Disaster
12 E.L.M.
13 No Cross No Crown
14 A Quest To Believe (A Call To The Void)
15 Son And Daughter
IN BREVE: 4/5