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Elvis Costello & The Imposters – The Boy Named If

Diciamoci la verità: tendenzialmente quando una vecchia rockstar/popstar fa un nuovo disco di inediti, o meglio, quando continua a pubblicare disco dopo disco di inediti anche quando l’ispirazione è palesemente finita da quel fantastico secolo scorso, quello i cui anni iniziavano con “19”, c’è sempre un nugolo di recensori da ogni parte del mondo che si affretta a precisare come la rockstar/popstar abbia ritrovato – inaspettatamente eh, non sia mai che qualcuno se lo fosse aspettato – la forma dei tempi migliori, ve lo giuriamo oh signori del pubblico, dei tempi migliorissimi, me possino cecamme, mica come i dischi passati che erano un pochino “eh”.

E, inevitabilmente, è pantomima che si ripete anche per il disco successivo, ché uno dovrebbe citofonargli uno ad uno a casa, ai signori recensori, per dirgli “amico carissimo recensore, ma quindi ciò significa che il disco precedente da te osannato era una porcheria? E per quale arcana ragione dovrei fidarmi nuovamente?”. Ma vedete gentili lettori, anche noi recensori abbiamo un cuore. Un cuore che talvolta batte per la verità, altre che batte per la memoria, memoria di ciò che un artista fu, per ciò che un artista ha prodotto e che ci ha accompagnati e/o continua ad accompagnarci in parti importanti della nostra vita. Insomma, immaginateci come delle persone, per quanto poco realistico vi possa sembrare.

Ecco, parlando dell’uomo del giorno, il buon vecchio Declan Patrick MacManus, OBE, quel giovane 67enne noto ai più come Elvis Costello, ha avuto una carriera forse neanche celebrata per quanto realmente meritasse: basterebbero capolavori come l’esordio “My Aim Is True” (1977) o quel gioiello pop di “Painted From Memory” (1998) per celebrarne le gesta come si fa degli eroi. Ma, invero, i dischi degli ultimi anni sono stati – seppur mai inaccettabili, mediocri, luridi, putridi – decisamente fuori forma. Anche il discreto “Hey Clockface” del 2020 o il piacevole album collaborativo coi Roots “Wise Up Ghost” (2013) non hanno mai più avuto quel tiro new wave o punk dei dischi degli anni ’70.

Ma in The Boy Named If Elvis sembra rinato, e sorprende dalla partenza: Farewell Ok, con un organo che ricorda il capolavoro di Question Mark & The Mysterians “96 Tears” (andatelo a ripescare, lo conoscete di sicuro), ha una vitalità e una luce che mancava in Elvis da anni. O ancora nel ritornello di The Difference (“Do you know, do you know, do you by chance know wrong from right?”), che resta in testa come un pezzo sanremese ma ha un arrangiamento sofisticato e What If I Can’t Give You Anything But Love, che parte da un gran riff e cresce come un vero pezzo rock deve fare. Insomma, ha il tiro, e lo mantiene (quasi) fino alla fine.

Come? Cos’era quel “quasi”? Beh, sì, la coppia finale ritrova Elvis in versione crooner, ma Trick Out The Truth e Mr. Crescent sono paradossalmente tra i pezzi migliori dell’album. E quindi sì, è un album di ritrovata forma, di gloria gentile, di un artista di estrema classe che non ha mai smesso per un secondo di far musica per il semplice motivo che adora far musica. La forma dei tempi migliori. Me possino cecamme.

(2022, EMI)

01 Farewell, OK
02 The Boy Named If
03 Penelope Halfpenny
04 The Difference
05 What If I Can’t Give You Anything But Love?
06 Paint The Red Rose Blue
07 Mistook Me For A Friend
08 My Most Beautiful Mistake
09 Magnificent Hurt
10 The Man You Love To Hate
11 The Death Of Magic Thinking
12 Trick Out The Truth
13 Mr. Crescent

IN BREVE: 4/5

Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.

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