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Fontaines D.C. – Romance

Uccidersi e rinascere: non c’è altra strada. Ammollare un destro allo specchio facendolo in mille pezzi: il modo migliore per fare pace con se stessi. Grian Chatten veste una camicia blu elettrico, poi un’altra marrone maculata due taglie più grandi. I suoi capelli sono impomatati di uno di quei gel anni ‘90 che unge per bene le ciocche dandogli forma di piccole corna diaboliche. Anche gli altri Fontaines D.C. appaiono trasformati nello shooting fotografico di Romance, quarto album della band irlandese. Abiti color evidenziatore, smorfie orrende come stessero in una copertina dei primi Marilyn Manson. Dunque stop all’austerità post punk dei tempi di “Dogrel” (2019) e alle tute adidas di “Skinty Fia” (2022). Sì, proprio così, alle volte l’abito fa il monaco e l’aspetto racconta l’essenza. “I colori che sento nella musica non sono quelli che si trovano in natura – ha spiegato a tal proposito Chatten – Le canzoni suonano al neon e assurde. Per comunicare questa idea, non volevo salire sul palco vestito come per Dogrel. Volevo mettere il pubblico nella giusta mentalità per renderlo sensibile al messaggio”.

Dunque il vestito sonoro si accompagna al senso e “Romance”, che si affida a una copertina su cui un cuore fluo piange, è una trasfigurazione quasi totale per i Fontaines. Intanto nella produzione che per la prima volta cambia mani: “dallo scultore Dan Carey all’architetto James Ford” (parole di Carlos O’Connell), poi nel cambio etichetta, dalla storica Partisan a XL, quindi nella geografia delle scelte: l’Irlanda lontanissima e Londra sempre più al centro dell’intento. Tutto questo si traduce in un disco straordinario proprio per la sua capacità di rinnegare e rinnegarsi. Atmosfere rarefatte, pop dolciastro ma sinistro, synth da alba tossica. Storie di solitudini. Di singhiozzi. Di fughe. Con poco spazio per la nevrotica battaglia identitaria e territoriale e con Chatten dal cantato meno sincopato e più vario: il rap di Starbuster, il sibilare acido e depeche della title track, la morbidezza di In The Modern World

A proposito di questo pezzo, i Fontaines D.C. riescono nel rarissimo obiettivo di confezionare un pezzo per il presente cui appigliarsi quando si è troppo nostalgici. Una canzone dell’oggi, scritta oggi, che segna l’oggi con tutto il suo inquietante senso. Supportato da archi e batteria solenne, Chatten si fa Yorke: “Ci piace vivere nel mondo moderno / Tu sei di carne e io d’acciaio / Costruito e sigillato in fabbrica / Tutto questo mi ha reso così freddo / Ma non morirò mai, non invecchierò mai”.

Un riferimento e mille riferimenti in questo disco. Atmosfere giapponesi, rimandi dream pop, lo spiritello di Robert Smith da qualche parte, ad esempio tra i violini della meravigliosa Horseness Is The Whatness, oppure l’epos romantico di Desire. E poi film, opere d’arte, l’Inghilterra, il rock afflitto che ogni tanto ha un colpo di coda e lascia un segno rotondo e sporco come fosse una tazza di caffè su una tovaglia bianca imbandita di tutt’altro. Il quarto album dei Fontaines D.C. è il primo album dei nuovi Fontaines D.C. ma pronto a essere l’ultimo. Per poi ricominciare ancora, fino a quel punto di non ritorno che è essenzialmente il senso dell’arte. Se esiste ancora.

2024 | XL

IN BREVE: 4/5

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