Se a questo trio aggiungiamo Mike Zarin, praticamente un Dio nel mondo delle colonne sonore hollywoodiane (le sue produzioni sono state usate per “Inception”, “Iron Man 3”, “Bastardi senza gloria”), però, l’atmosfera diventa diversa e la potenziale ferocia viene temperata da un’atmosfera plumbea, cupa, a tratti soffocante. In questo Echolocation domina Zarin, quindi, dal quale il progetto è scaturito, ma non è da meno Troy Sanders, ultimo arrivato nel gruppo, che fa sentire il proprio peso dando un’impronta mastodoniana alla band, quanto meno per stile melodico.
Molto mid-tempo, un’attenzione particolare alla radiofonia (chiaramente delle radio rock e gggiovani) e una durata ormai quasi inusuale (siamo vicini a un’ora) sono indici che non promettono bene e gli ascolti ripetuti non aiutano, anzi peggiorano la situazione, evidenziando la carenza di pezzi che spicchino realmente sul resto.
L’occasionale sorpresa – la ballata acustica Resolve – e l’intesa evidente tra Van Leeuwen e Sanders bilanciano la noia (in particolare in pezzi come Ornament o Resurge), ma il risultato generale è un’incompiuta che non propone niente di particolarmente nuovo e non riesce a dare forza a un potenziale che sarebbe assolutamente esplosivo. Ma in musica più che in qualunque altro ambito, il potenziale, finché non realizzato, non significa veramente un cazzo.
(2017, Rise)
01 Sentient
02 Gift
03 Resurge
04 Dublin
05 Ornament
06 Pawns
07 Colourfade
08 Roads
09 Slow Awakening
10 Fast Awakening
11 Resolve
12 Echolocation
IN BREVE: 2,5/5