Nati esattamente in quel periodo storico, i Gorillaz furono uno di quei progetti che lasciavano ben sperare un pubblico rimasto temporaneamente orfano di suoni sfiziosi e ingegno sperimentale. D’altronde, la presenza di Damon Albarn, colui che era riuscito a uscire indenne dalla brit pop battle senza restare impigliato nello status di ragazzino ubriaco e capriccioso, faceva da garante qualitativo del progetto virtual band, composta da musicisti sporchi e sbandati, nati dalla matita di Jamie Hewlett, a completamento di un’idea fresca e totalmente innovativa.
Con i suoi alti e bassi, dal 2001 in poi ogni album dei Gorillaz ha goduto di una discreta stima (l’omonimo album di debutto fece entrare la band nel guinness dei primati come virtual di band di maggiore successo, “Demon Days” fu cinque volte disco di platino nel mercato inglese e “Plastich Beach” raggiunse la seconda posizione di Billboard 200), fino ad arrivare a “Humanz” (2017), risultato di un utilizzo disorganico di una line-up grandiosa, che ha gettato qualche ombra di troppo sulla credibilità del progetto inglese.
The Now Now, rilasciato a distanza di un anno dal suo meno fortunato predecessore (tempo da record se si calcola la media cronologica delle uscite discografiche del gruppo), si distingue da un lato per l’esigua presenza di contributi esterni (George Benson in Humilty, Snoop Dogg e Jamie Principle in Hollywood) e dall’altro per il marchio inconfondibile di Damon Albarn, in tutte le sue evoluzioni.
Albarn, dotato senza dubbio di un ottimo ingegno per le sperimentazioni e di un gusto estetico abbastanza spiccato, aveva sempre evitato di utilizzare i Goirllaz come suo personale mezzo espressivo. “The Now Now”, invece, esplora gli universi mentali in cui l’artista londinese ha viaggiato nell’epoca post Blur, dalle sonorità decadenti dell’unico album dei The Good, The Bad & The Queen (Sorcererz, Fire Flies), alle atmosfere distaccate dei suoi album da solista (Kansas, Magic City).
“The Now Now” è purtroppo un disco fiacco, eccessivamente riflessivo, poco incline al gioco, carente di violenza e di quell’andatura scocciata di cui 2D, Murdoc, Noodle e Russel sono sempre andati fieri. Sorprende che la produzione curata da James Ford e Remi Kabaka non abbia aggiunto nulla di più a un disco che nel complesso si dimentica in fretta.
(2018, Parlophone)
01 Humility (feat. George Benson)
02 Tranz
03 Hollywood (feat. Snoop Dogg & Jamie Principle)
04 Kansas
05 Sorcererz
06 Idaho
07 Lake Zurich
08 Magic City
09 Fire Flies
10 One Percent
11 Souk Eye
IN BREVE: 2,5/5