La vena sperimentale che spesso ha rischiato di far precipitare le quotazioni della band, prende qui una piega così trasversale da rendere il disco una creatura amorfa. Ognuna delle undici tracce contenute in “Chalice Hymnal” è, presa singolarmente, il consueto viaggio strumentale nell’iperuranio e per questo decisamente gradevole, ma è nell’insieme che l’album non decolla, mancano continuità, legami concettuali e quel saliscendi emotivo che un lavoro senza parole deve avere per non rasentare la noia.
Il punto di partenza è sempre l’impianto post rock, fin dalla title track posta in apertura (ma anche in Deeper Politics, ad esempio). Ma poi, già dalla seguente Pelham che si immerge in un marasma progressive, la confusione comincia a impossessarsi del disco: prendi la sonnolenta penombra di Empty Chamber, l’intermezzo sabbathiano di New Prague, la cinematica Rebecca coi suoi soffi elettronici o la conclusione con gli oltre dieci minuti di After The Funeral, in cui succede tutto e il contrario di tutto e il disordine regna incontrastato.
I Grails con “Chalice Hymnal” si buttano la zappa sui piedi, mettendo insieme una manciata di pezzi nati probabilmente in momenti diversi e su cui non è stato fatto il necessario lavoro di levigatura prima di metterli in sequenza all’interno di un corpo unico. Un peccato, perché con un po’ di accortezza in più il loro potrebbe sempre essere il mondo ideale in cui perdersi.
(2017, Temporary Residence)
01 Chalice Hymnal
02 Pelham
03 Empty Chamber
04 New Prague
05 Deeper Politics
06 Tough Guy
07 Rebecca
08 Deep Snow II
09 The Moth & The Flame
10 Thorns II
11 After The Funeral
IN BREVE: 2,5/5