Non si tratta di materiale di scarto. Oggetto di ri-lavorazione, la qualità delle singole canzoni e della loro produzione è sicuramente buona e il disco nel suo complesso suona in una maniera perfettamente coerente. Domina la componente drone, quella su cui è stato costruito l’intero sound degli Heroin In Tahiti: un’elettronica drone minimalista che in Italia è uno stile che ha una certa diffusione a livello sotterraneo, raccolto nella definizione “Italian Occult Psychedelia” e che si riconosce nell’ispirazione all’immaginario cinematografico italiano di registi come Lucio Fulci, oppure gli spaghetti western e quello horror, ma più specificamente Visconti e soprattutto Federico Fellini e Pier Paolo Pasolini. Due mondi apparentemente lontanissimi che, invece, si sovrappongono l’uno all’altro in una visione e rappresentazione critica della cultura e della società, che qui viene applicata chiaramente al mondo contemporaneo e nel caso di Mattioli-De Figuereido alla realtà che li circonda e che vivono direttamente.
I brani del disco hanno per lo più un carattere cinematico, si sviluppano su loop e componenti droniche ripetute, con riff di chitarra che potrebbero rimandare a Sun City Girls oppure Ben Chasny, ma in una maniera meno complessa, le tipiche sfumature orientaleggianti (Aco Ione, Bad Auspicia, A Tergo Lupi), oppure ossessioni noise (Zziggurat Tempesta), allegorie e arabeschi (Ad Duas Lauros); su strutture ispirate a un’elettronica minimalista improntata al kraut rock, con la solita devozione morriconiana come viene sviluppata in Veltha In C23, in Holy GRA Reversed o ancora in Steve Tamburo Is Not Dead; oppure con composizioni più basiche come Illamorip, deviazioni avant jazz che caratterizzano le sfumature di Larentalia, mentre Lago Finto ha un’ispirazione di natura ambient meditativa.
“Casilina Tapes 2010/2017” è così alla fine il vero e proprio manifesto dell’intero progetto Heroin In Tahiti: la rappresentazione in slow motion di una capitale decadente che non riesce più a ritrovare il suo antico splendore, che nella fatica a riconoscersi ritrova la sua identità negli angoli più remoti e lontani dagli occhi del mondo. È una Roma popolare, abitata da genti provenienti da ogni parte del mondo e allo stesso tempo pure ideale e allegorica come il già richiamato cinema di Federico Fellini e Pier Paolo Pasolini. Più che una vera e propria rappresentazione sociale e concreta, possiamo parlare di una sorta di esperienza cinematica, un documentario minimalista visto secondo un’ottica interna e proprio per questa ragione così “sentito” e suggestivo anche per l’ascoltatore.
(2018, Boring Machines)
01 Aco Ione
02 Bad Auspicia
03 Veltha In C23
04 Larentalia
05 A Tergo Lupi
06 Holy GRA Reversed
07 Zziggurat Tempesta
08 Lago Finto
09 Steve Tamburo Is Not Dead
10 Illamorip
11 Ad Duas Lauros
IN BREVE: 4/5