Un bel viaggio sonoro uscito ultimamente, insieme al primo sole primaverile, è Zenith dei torinesi Indianizer, giunti al secondo disco dopo aver debuttato nel 2015 con “Neon Hawaii”. Rispetto al primo album, c’è un cambio di location: se la meta proposta dall’avvolgente “Neon Hawaii” era un atollo tropicale sull’isola di Maui, in cui oziare e bere cocktail su un’amaca, qua l’itinerario si fa più avventuroso, tipo un safari nel cuore dell’Africa con la macchina primordiale dei Flintstones, quella che va avanti muovendo i piedi per terra.
Il mezzo per spostarsi nella tracklist è costituito principalmente dai bassi ciccioni e ipnotici di Salvatore Marano, cuore pulsante di ogni brano, appiccicati al drumming frenetico e cartoonesco di Gabriele Maggiorotto, come si può sentire in Mazel Tov II, uno dei singoli che ha preceduto l’album, o in Hermanos Nascondidos.
La voce, laconica e poggiata indietro nel mix, è solo uno tra i vari strumenti che permettono agli Indianizer di creare l’atmosfera che rende peculiare “Zenith”: qui il ritmo allegro della cumbia e dell’afrobeat offre la base per lunghi deragliamenti di rock psichedelico, come se i King Gizzard & The Lizard Wizard si fossero ispirati ad “Azulejos” di Popolous per uno dei trecento dischi che fanno uscire ogni anno.
Ma anche nei pezzi più concisi e “normali” i torinesi sono estremamente efficaci, come si sente in Hypnosis, fatta apposta per ballare intorno a fuochi e pentoloni, magari con dentro qualche esploratore missionario che cuoce. Sono solo quaranta minuti, ma sufficienti per un buon viaggio, e gli Indianizer si confermano nuovamente come uno dei migliori tour operator in Italia.
(2018, Musica Altra / EdisonBox)
01 Down
02 Hypnosis
03 Get Up!
04 Mazel Tov II
05 Hermanos Nascondidos
06 Bunjee Ginger
07 Bidonville
08 Dusk
IN BREVE: 3,5/5