Fenomeni del crossover elettronico, dischi uno più bello dell’altro in curriculum, affermare che i Jaga Jazzist siano tra le espressioni musicali più intriganti e influenti degli ultimi quindici anni è pura onestà intellettuale. Ma ogni band che scrive pagine importanti della storia della musica fa prima o poi i conti con se stessa, col peso di un’identità emulata da molti altri, con l’arresto fisiologico del percorso di crescita.
“Starfire” ci restituisce dei Jaga Jazzist più semplici e meno spigolosi, il che non è per forza un male. Senza ripudiare quelle caratteristiche melodie morbide figlie dell’atonalismo jazz, Horntveth e compagni entrano in punta di piedi in scena con la title-track ed è subito l’eco di “The Stix” a investirci. Che non ci saranno grosse sorprese si intuisce dalle contorsioni ritmiche di Big City Music, odissea affascinante nel suo complicato labirinto di beat e strati di elettronica ma che in altri tempi si sarebbe tramutata in qualcosa di più di uno space-rock che non deflagra mai. È affascinante Shinkansen, che porta con sé i tratti della musica sinfonica scandinava, Sibelius in testa, ma anche qui manca il botto. Oban piace grazie a synth dal timbro settantiano che si coniugano a un’elegante ricerca melodica su cangianti progressioni. A chiudere il cerchio arriva Prungen, il mantra cosmico di un Miles Davis astrale.
Fermo restando che se “Starfire” l’avesse composto una band all’esordio saremmo qui a farci venire le piaghe alle mani per gli applausi, non si può negare una certa delusione se se ne identificano i genitori nei Jaga Jazzist. L’averci abituati a opere di altissima caratura ci lascia ora l’amaro in bocca di fronte a questo disco che non ha reali colpi da manuale. Aspettiamo il prossimo giro per accertarci del loro stato di salute.
(2015, Ninja Tune)
01 Starfire
02 Big City Music
03 Shinkansen
04 Oban
05 Prungen
IN BREVE: 3/5