Quando nel 2021 Jerry Cantrell aveva pubblicato “Brighten”, interrompendo così un quasi ventennale silenzio da solista, se n’erano accorti tutti e ovviamente anche noi di come il disco presentasse degli sprazzi di luce che mai, davvero mai, il chitarrista aveva fatto trapelare nella sua musica. Non coi precedenti lavori in solo, “Boggy Depot” (1998) e “Degradation Trip” (2002), men che meno con gli Alice In Chains (tanto con i primi, quelli dove la voce principale era Layne Staley, quanto con i secondi, dove abbiamo invece ritrovato William DuVall). I mostri di una vita sembravano scacciati, sotterrati per sempre in una buca scavata in quello sperduto deserto cui le sonorità di “Brighten” facevano richiamo.
Cantrell questa volta non ha fatto passare tantissimo tempo prima di ripresentarsi con un disco a proprio nome e, approfittando anche della lunga pausa discografica in cui si trovano gli Alice In Chains (pausa che a quanto pare potrebbe interrompersi a breve), pubblica adesso I Want Blood. Nel disco − ed è questo un dato incontrovertibile come lo era l’inverso per quanto riguardava “Brighten” − Cantrell si e ci ricaccia indietro di un sacco di anni, riprendendo le fila di un discorso interrotto per voglia e necessità, un discorso il cui filo conduttore prevede nuovamente la nebbia del monte Rainier ad avvolgerlo e il protagonismo di quella chitarra marcatamente hard rock che ha segnato un’epoca e dato le generalità a un sound. Quindi poca (ma sarebbe meglio dire nessuna) acustica, poche vene country e folk, poco americana. Poco “Brighten”, per dirla brevemente.
Parte il disco e Vilified è già un trademark inconfondibile di tutto ciò che Cantrell ha rappresentato nei e per gli interi anni Novanta: il riffone metal, la sua voce dall’oltretomba, la sezione ritmica secca e violenta. E a proposito di sezione ritmica, nell’opener alla batteria c’è ancora Gil Sharone, con Mike Bordin dei Faith No More a occuparsi del resto del disco, non proprio gli ultimi arrivati, mentre al basso si accanisce Robert Trujillo dei Metallica (presente anche in Off The Rails e It Comes), con Duff McKagan che si occupa invece di Afterglow, della title track e di Echoes Of Laughter (in quest’ultima fa anche la sua comparsa alle controvoci Greg Puciato). Un parterre de rois di musicisti che farebbe invidia a chiunque e che si ritrovano qui per coadiuvare l’amico Jerry (giusto per dare un segno tangibile della sua rilevanza nel panorama di riferimento, nel caso fosse necessario). Ma è tutto il disco a ribollire nella lava, dall’incedere sludge di Echoes Of Laughter a Let It Lie, passando per la melma sonora di Throw Me A Line.
Non è sorprendente “I Want Blood” e in tutta onestà nessuno si aspettava potesse esserlo, non è dalle parti di questo Jerry Cantrell che ha vissuto più e più vite che va ricercato il colpo a effetto. Ma ce ne fossero di album del genere, crudo e urticante, heavy nel senso più profondo e trasversale che questo termine può avere in musica, prodotto e suonato con una perizia che metà basterebbe a rendere migliore trequarti del rock che esce fuori di questi tempi. Insomma, è ancora Jerry Cantrell al cento per cento e ce lo facciamo bastare così com’è.
2024 | Double J Music
IN BREVE: 3,5/5