Non dev’essere affatto semplice resistere per decenni al peso della propria arte, riuscire ad andare costantemente avanti, mutare forma passo dopo passo e non scadere mai nel fare ciò che gli altri si aspetterebbero facessi. John Cale regge sulle sue spalle da oltre cinquant’anni un macigno di nome Velvet Underground, che avrebbe schiacciato chiunque e che invece per lui è sempre stato un esempio, non tanto e non soltanto artistico ma anche e soprattutto per il modus operandi della sua composizione: una continua ricerca lì dove la luce non filtra mai, senza compromessi, senza ammiccamenti, senza pacche sulle spalle e autocompiacimento.
Mercy è il suo diciassettesimo lavoro da solista e, a ottant’anni suonati, lo proietta ancora una volta oltre. Oltre la musica dei nostri giorni e dei giorni passati, oltre i generi e le classificazioni, oltre le diatribe analogico/digitale, oltre il concetto di classico e moderno, perfino oltre se stesso. E lo fa con settanta minuti in cui Cale ficca dentro un’intera vita: la musica classica e il punk, le colonne sonore, le sperimentazioni avant e tutta la coolness arty che lo accompagna da sempre, con uno sguardo dall’alto su ciò che ci circonda in questi strani e pericolosi anni che ci ritroviamo a vivere (date un’occhiata al testo della title track che apre il disco, realizzata con Laurel Halo, o di Time Stands Still, in cui invece Cale si incastra ai Sylvan Esso). Cale è qui e ora con questo disco, non presta il fianco alla sua ingombrante storia e neanche al nuovo che avrebbe potuto inghiottirlo.
Tra echi e riverberi, tuffi in un’elettronica da post umanità e sezioni d’archi e pianoforte che lo ricacciano indietro, l’ex Velvet Underground mette in scena la sua personalissima rappresentazione dei nostri giorni. Gli sbuffi industriali di Marilyn Monroe’s Legs (Beauty Elsewhere) (sui quali Cale ha lavorato col produttore Actress) ne sono un’ottima rappresentazione, così come l’ansiogena The Legal Status Of Ice, dove accompagnato dai londinesi Fat White Family riflette sulla questione climatica. Il passato, quello ingombrante di cui abbiamo già detto, si rifà sotto nell’ispirazione di Night Crawling, che è un viaggio nel tempo in compagnia dell’amico David Bowie, oppure in Moonstruck (Nico’s Song), che già dal titolo manifesta l’omaggio alla compianta algida musa di Warhol, che con Cale, Reed e gli altri aveva dato vita a uno dei più grandi capolavori della storia della musica.
Leggendario come pochi altri esseri umani ancora in vita, essenziale come ancora meno, quello di John Cale è un percorso ineccepibile che trova in questo “Mercy” una quadratura perfetta, nell’accostamento degli spunti tirati in ballo, nella classe con cui sono stati esplicitati, nella presenza mai invadente dei seppur tanti collaboratori chiamati in causa per realizzarlo, che sembrano stare sempre un passo indietro in ossequioso rispetto del colosso davanti al quale si trovano. Ancora una volta senza compromessi e senza ammiccamenti, sempre lì dove le ombre avvolgono tutto.
— 2023 | Domino —
IN BREVE: 4/5