È finalmente uscito Fever Dreams Pts 1-4, il quarto album di studio di Johnny Marr: un nome che certamente si è distinto per altri meriti, ma che nel ruolo di solista non ha nulla da invidiare alle esperienze passate. A distanza di quattro anni dal precedente “Call The Comet” (accompagnato dal singolo “Spiral Cities”, probabilmente il mio preferito della sua discografia), il musicista britannico torna con un doppio album di ben un’ora e dodici minuti, precedentemente rilasciato in streaming nella forma di diversi EP.
La linea intrapresa dal Marr solista è chiara, solida, immediatamente riconoscibile dall’opener Spirit Power And Soul: un esempio ritmato e ballabile delle atmosfere anni Ottanta che pervadono l’intero disco, evocative di sentimenti passati che invece di chiudersi in se stesse si aprono a ricerche e a consensi più attuali. Receiver si fa apprezzare per una scrittura sempre molto orecchiabile, radiofonica: proprio questa, a mio avviso, costituisce una qualità intrinseca della composizione dell’album. Un rock alternative che sa emanare energie positive, alternate sapientemente a momenti più esplicitamente nostalgici, come si lascia intendere da All These Days.
Molta attenzione è stata data anche ai singoli testi, come nel caso di Ariel, ispirata dall’omonimo poema dell’autrice Sylvia Plath dove il musicista tenta di attingere dal proprio “lato femminile”, incarnato musicalmente nella seconda voce della cantante americana Meredith Sheldon. La stessa riappare intrecciata all’intrigante arrangiamento di Lightning People. Si accostano sulla stessa linea “radiofonica” Hideaway Girl e Sensory Street, dall’outro in fade out, giusto per rimarcare la provenienza da un decennio ben preciso. Come già sostenuto, tuttavia, il legame con il passato non preclude uno sguardo attento al presente, e in particolare al rock moderno delle giovani band britanniche, che sembrano ricordate nella chitarra di Tenement Time; nel brano, Marr decide di raccontare la propria esperienza di formazione vissuta in una Manchester romanticizzata, ripetendo il ritornello “Forever, forever is mine” che effettivamente si presterebbe alla scena di una pellicola adolescenziale.
Le sonorità evocate in “Fever Dreams” non riservano grosse sorprese e le ultime tracce, a questo punto, scorrono piuttosto facilmente. L’attenzione potrebbe calare, abituati ormai ad una brevità dei contenuti che non ha risparmiato neanche il settore musicale (sebbene questa non rappresenti necessariamente una consuetudine, per fortuna), e canzoni come The Speed Of Love potrebbero passare in secondo piano. Più memorabile è il riff “da concerto” di Night And Day e la carica più ritmata di Counter Clock World. Ad essa si alterna la più introspettiva Rubicon, dall’introduzione recitata, e la cadenzata God’s Gift. Ghoster resta facilmente impressa al primo ascolto, grazie alla ripetizione ipnotica dei versi; ma è The Whirl con le sue strofe più energiche a lasciare spazio al finale. L’epilogo è Human, una riflessione che lascia una nota di speranza a concludere il brano, e con sé le sedici tracce.
Marr dichiara “Fever Dreams” un lavoro più ambizioso dei precedenti, volontà che si rende evidente dalla lunga durata del disco; se sia l’album migliore della sua discografia credo sia presto per dirlo (e forse troppo avventato), ma si tratta decisamente di un ritorno di qualità che dimostra una prolifica vena creativa, e che conferma il suono attento e nostalgico del chitarrista e cantautore.
(2022, BMG)
01 Spirit Power And Soul
02 Receiver
03 All These Days
04 Ariel
05 Lightning People
06 Hideaway Girl
07 Sensory Street
08 Tenement Time
09 The Speed Of Love
10 Night And Day
11 Counter Clock World
12 Rubicon
13 God’s Gift
14 Ghoster
15 The Whirl
16 Human
IN BREVE: 4/5