E di primato infatti, nel caso di Jon Hopkins, si può gridare e non parlare. Che sia forse il compositore in territorio elettronico che meglio ha rappresentato, in questi ultimi anni, il trait d’union tra l’ascoltatore compulsivo e quello filtrato: i dubbi son sottilissimi come i capelli. Dopo cinque anni di stacco discografico e due pieni di lavoro sul concept, la nuova creatura del trentottenne britannico splende chiarissima come la costellazione in copertina, rimettendogli in mano uno scettro che in illo tempore aveva scippato a mani basse. Il disco, nato anche grazie alla meditazione trascendentale, rappresenta un naturale affluente del passato: Everything Connected è la nuova “Open Eye Signal” – solo, addirittura, meglio incastonata nel flusso.
Il crescendo emotivo e spirituale vangelizzato da Hopkins è un percorso che, dalla title track al lungo brano pocanzi citato, aumenta i giri per poi costringere meravigliosamente al respiro. Non è un caso che l’altra gemma oltre i dieci minuti dell’album arrivi dopo C O S M ed Echo Dissolve, i due polmoni più ambient del lotto. Luminous Beings diventa, in questo modo, un rituale sciamanico sul quale danzare in preda a una frenetica consapevolezza: trance, ma non per modo di dire. Il finale? Non può che essere una guarigione.
Recovery, infatti, chiude un viaggio che è semplice da proiettare e difficile da introiettare: un viaggio da fermi, nel deserto, nel silenzio, illuminati da un fuoco – eppure in mezzo agli altri. Con “Singularity”, non soltanto Jon Hopkins dà alle stampe un altro eccezionale step dell’ambient-techno tutta, ma ribadisce quasi il suo status nel panorama internazionale. Non una rarità; ma un pezzo praticamente unico.
(2018, Domino)
01 Singularity
02 Emerald Rush
03 Neon Pattern Drum
04 Everything Connected
05 Feel First Life
06 C O S M
07 Echo Dissolve
08 Luminous Beings
09 Recovery
IN BREVE: 4/5