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Katatonia – Night Is The New Day

Dai Katatonia non è lecito attendersi abbozzi di sorrisi, luci abbaglianti all’orizzonte. La loro arte sonora contempla sentimenti fragili pronti a disgregarsi e ad essere calpestati come pezzi di vetro, vaga in una penombra pronta a farsi buio pesto. Il fatto che la notte sia il nuovo giorno, come recita il titolo di questo nuovo capitolo della band svedese, dovrebbe fungere da significativo elemento per chi, oggi, si approccia per la prima volta alla loro musica. L’atmosfera è opprimente ma nello stesso tempo delicata, un dolore da maneggiare con estrema cura e che si agita come la polvere che turbina sotto un filo di luce penetrata per caso dalla finestra. Il gelo dei sentimenti trova la sua forma ideale nella tavolozza cromatica dei Katatonia, nel diluvio di foglie nei viali di Idle Blood, in cui non è poi così remoto il ricordo degli Opeth della bellissima “Harvest”. Emancipatosi in parte dalla folgorazione per i Tool che lo colse in “The Great Cold Distance”, il riffing in questo nuovo lavoro raggiunge un buon equilibrio tra i ricami più diluiti e le aperture più muscolari (emblematico è il prologo di Forsaker – e ci sono i Meshuggah dietro l’angolo – e non è il solo caso nell’intero disco, vedi l’altro bell’episodio che di nome fa Night And The Shade). The Longest Year ha non poco da spartire con “Deliberation”, uno dei punti più alti del precedente album, ed i contatti col recente passato si manifestano anche inLiberation, in cui ha spazio uno dei refrain più belli del disco. Renkse, nonostante mantenga intatto il suo stile vocale molto suadente, è qui più vario nelle modulazioni che, all’orecchio di un profano possono apparire sfumature impercettibili, ma invero si dimostrano un fattore di riuscita globale di queste undici canzoni. Però Night Is The New Day non è solo esaltazione delle doti compositive del combo scandinavo. Troviamo passi incerti a metà tracklist: The Promise Of Deceit abbassa il livello risultando affetta da una deficienza di idee che si avverte a primo impatto. Anche New Night lascia intravedere qualche punto di flessione. Ma tutto sommato le note stonate si riducono ai soli due episodi appena menzionati. Inheritance è l’anatomia della melanconia sezionata e grondante di sangue misto a lacrime, piccolo capolavoro che rimane per qualche attimo sospeso in aria su una leggera corrente d’archi. Le medesime parole le si potrebbe spendere (ed in verità le spendiamo) per la conclusiva Departer, altro affresco di mestizia indomita che dapprima gorgheggia fuori da un buco e, d’improvviso, viene risucchiata negli abissi del dolore. Album di non facile presa, album che rivela sfaccettature sommerse in emersione progressiva, album che dimostra, se ce ne fosse ancora il bisogno, che i Katatonia sono una band dal grande valore. L’estetica della nostalgia è pressoché questa.

(2009, Peaceville)

01 Forsaker
02 The Longest Year
03 Idle Blood
04 Onward Into Battle
05 Liberation
06 The Promise Of Deceit
07 Nephilim
08 New Night
09 Inheritance
10 Day And The Shade
11 Departer

A cura di Marco Giarratana

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