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Kim Deal – Nobody Loves You More

Ci siamo ormai abituati a non vederla più nei Pixies, è da un bel po’ che ha mollato il colpo e nel frattempo gli ex colleghi di band hanno consegnato quella che era la sua posizione nelle mani di più di un’altra bassista. Eppure fa comunque un certo effetto sapere che neanche un mese fa i Pixies sono usciti con un altro nuovo album e che Kim Deal arriva invece adesso con quello che è appena il suo esordio da solista. Sì, perché di altra musica Kim ne ha fatta parecchia in questi anni, prevalentemente sotto la ragione sociale Breeders, ma fino ad ora non c’era stato nulla di firmato a proprio nome. Nobody Loves You More colma questa mancanza, se così vogliamo chiamarla, in modo anche inatteso per certi versi. Inatteso perché da un disco su cui ha messo le proprie mani Kim Deal ti aspetti sempre un’anima pop applicata al punk, tanto è stato fondamentale il suo apporto nelle prime epocali scorribande dei Pixies. E invece…

Invece succede che è una Kim Deal inedita quella che sentiamo nella mezz’ora abbondante di “Nobody Loves You More”, nonostante non si tratti di un lavoro di recente ideazione e realizzazione, visto che alcune delle tracce finite nella tracklist hanno iniziato ad esistere già nei primissimi anni ’10. Quindi un album lavorato e rilavorato, messo da parte mentre faceva dell’altro e poi ripreso, con l’aiuto del compianto amico Steve Albini e con tutta l’indole DIY di Deal, che il disco alla fine se l’è prodotto da sola. Dicevamo che quel po’ di punk te l’aspetti sempre quando c’è lei di mezzo, ma qui in “Nobody Loves You More” non se ne sente se non qualche sparuta traccia, visto il modo in cui Kim Deal snocciola piccole gemme ai limiti dell’orchestrale come la title track che apre il disco o come Are You Mine? che è il dolcissimo culmine di questo approccio della musicista americana, passando per lo sperimentalismo arty di Crystal Breath.

Prendi Wish I Was e fai davvero fatica a convincerti si tratti davvero di Kim Deal, una zolletta di zucchero che si scioglie lentamente in una melodia indie rock da secolo scorso, oppure i fiati d’oltreconfine di Coast, il trasognato intermezzo Bats In The Afternoon Sky o ancora Summerland con quella sezione d’archi così cinematica da portarti con la mente a una sorta di Björk alle prese con un pezzo di Etta James. Qualche chitarra più marcata c’è, Kim non ha certo dimenticato da dove viene, vedi Big Ben Beat o Come Running che si lanciano persino in qualche distorsione, ma è davvero poca cosa rispetto al mood del resto dell’album, giusto un gancio a un mondo che con Deal ha sempre fatto rima. La malinconia che serpeggia nell’intero disco è sempre agrodolce, bellissima e avvolgente, quella di un’artista di sessantatré anni con ancora il piglio di una quindicenne alla scoperta di se stessa. E tutto questo ci scalda il cuore.

2024 | 4AD

IN BREVE: 3,5/5

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