Del resto, la sperimentazione per il quartetto composto da Marc Melzer, Jason Miller, Tyler Green e Chris Musgrave è sempre stata in qualche maniera sempre al servizio di contenuti che si alleano a una certa attitudine rock a bassa fedeltà, che li rende come tale avvicinabili da un pubblico variegato e non legato necessariamente a determinati schemi.
Call Of The Void ha una genesi dolorosa: il disco è dedicato a Barrett Clark, ingegnere del suono e praticamente membro aggiunto della band, tragicamente deceduto nel grande incendio ai magazzini della Ghost Ship a Oakland, nel 2016. Questo potrebbe aver allungato i tempi di lavorazione dell’album, che è stato poi registrato in buona sostanza presso i New Telos Sound, gli studi della band, con un paio di puntate presso quel luogo di culto che sono gli Hyde Street Studios di San Francisco.
Invece che a contenuti più tipicamente cosmici, come l’esplorazione dello spazio, “Call Of The Void” guarda piuttosto al nostro pianeta, ma con quella stranezza che potrebbe essere aliena nella contemplazione attenta e curiosa di tutto ciò che ci circonda e che appare per lo più come qualcosa di drammatico, ma tanto vivo quanto allo stesso tempo decadente.
Una stranezza che si traduce comunque in una serie di composizioni spaziali quasi da dancefloor venusiana, caratterizzate da oscillazioni e tremolii kraut rock che hanno una natura magmatica e che costituiscono, con l’uso abbondante di tastiere e synth, una costante. A partire dalla traccia di apertura del disco, Fuck All Y’All, una lunga sessione strumentale di sette minuti con un groove circolare che si riscontra anche in pezzi più allineati alla forma canzone come Space Curse, l’ossessiva Signal e la melodrammatica Cloc Spell; tonalità e trip psichedelici che poi si mescolano a un’oscurità wave caratterizzata da un imperioso sound del basso come Silver Trash, Masters Call, il nichilismo di Ghost Notes e il sound Killing Joke di Fictional.
In questo mix tra diverse combinazioni di suono, si compie comunque un’amalgama che si traduce poi in un quadro complessivo che trasmette effettivamente quelle stesse suggestioni che lo stesso Jason Miller ha voluto spiegare come “Universo”, cui è dedicato il disco. Per sapere qualche cosa di più, suggeriamo la visione di un super classico come “The Wild Blue Yonder” di Werner Herzog (2005), il pianeta Terra visto con gli occhi dell’alieno Brad Dourif.
(2018, Fuzz Club)
01 Fuck All Y’all
02 Silver Trash
03 Space Curse
04 Signal
05 Fictional
06 Masters Call
07 Ghost Notes
08 Clock Spell
IN BREVE: 3,5/5