La musica di Lustmord tende ad assorbire ogni particella di ossigeno, a rendere l’aria irrespirabile, saturandola di caligine, polvere di piombo e zolfo che si attacca ai polmoni senza più staccarvisi. Trascorrere i settantotto minuti tra le spire avvolgenti di [Other] significa essere proiettati in un mondo in cui gli incubi vengono coltivati giornalmente, germogliando dalla terra riflettendo quel fascino lucente che solo l’ambiguità del Male sa esercitare. Oramai nome di punta della scena ambient con collusioni con pezzi da novanta dello scibile alternative metal (ricordiamo l’eccellente “Pig Of The Roman Empire” in condominio coi Melvins e il cammeo su “10,000 Days”, recente fatica dei Tool), Lustmord è stato persino invitato dalla Chiesa di Satana di Anthony LaVey per celebrare i quarant’anni di questa il 6 giugno 2006 (6.6.6…). Ciò che Brian Williams (questo il nome all’anagrafe) figlia è un fluttuante universo che si fonda su note in dissolvenza, bordoni oscuri che sorreggono le gravi e lievi modulazioni in assenza di gravità, ottenebrando il sole con solenni toni cerimoniali. La ricerca di Lustmord ricorda quel satanismo cerebrale del faro Burzum, anche se le forme espressive appaiono evidentemente differenti, poiché v’è una totale mancanza di quel riffage gelido che lo possa connettere col mondo del black metal. “[Other]” rappresenta per altro una sorta di mini-gran galà, causa i nomi ospitati su alcune composizioni: Adam Jones dei Tool corrode l’agghiacciante odissea di Godeater (sono quasi ventitre minuti) con giri dall’etimo stoner, così come nella seguente Dark Awakening (e nella conclusiva Er Ub Us); spunta Aaron Turner degli Isis in Element, arcano intreccio di voci d’oltretomba ed echi esoterici di didjeridoo; anche King Buzzo dei Melvins è della partita in Prime [Aversion] con un riffing teso e reiterato che discende direttamente dalle manipolazioni doom della seminale band madre. “[Other]” ci appare così un affresco infernale a tinta unica, dove sono le sfumature a rivestire un ruolo determinante, cariche di tensione che sono come magneti che attraggono paure ed incubi per poi rilasciarli con ferocia subliminale verso la psiche di chi ascolta. Più che di isolazionismo vien da parlare di alienazione, di dissociazione mentale, di qualcosa di inafferrabile ma terribilmente pericoloso. Inoltrandosi per questi sentieri si corre il rischio di imbattersi nei mostri della mente, in sensazioni tendenti al nero che crescono lente ed inesorabili come maree sotterranee provenienti dall’inesplorato oceano dell’inconscio. Disco consigliato a tutti coloro che intendono la musica come mezzo per l’esplorazione della mente.
(2008, Hydra Head)
01 Testament
02 Element
03 Godeater
04 Dark Awakening
05 Ash
06 Of Eons
07 Prime [Aversion]
08 Er Ub Us
A cura di Marco Giarratana