
La caratteristica principale che i veneti Messa hanno saputo mettere in mostra, dagli esordi risalenti ormai a una decina d’anni fa ad oggi, è senza dubbio la loro dimestichezza nel maneggiare la materia metallica a contatto con altre sostanze che di metallico hanno ben poco. Soprattutto con “Close” del 2022 questo loro percorso di ricerca e mescolamento aveva raggiunto livelli spesso impensabili alle nostre latitudini, dando definitiva attuazione a una crescita che era ovvio sarebbe arrivata, prima o poi. Il loro quarto album The Spin, che vede Sara Bianchin e i suoi approdare alla statunitense Metal Blade Records (circostanza assolutamente non di poco conto), s’insinua nel solco del percorso evolutivo dei Messa, tirando a lucido ciò che di buono i quattro avevano già fatto vedere e irrobustendo ancor di più altri aspetti della loro proposta.
Tra questi aspetti spicca sicuramente il legame dei Messa con la new wave, il dark e il gothic. Non che i lavori precedenti fossero luminosi, ma in “The Spin” è evidente il profondo bagno nella pece voluto dalla band, che ha virato in modo deciso su tonalità goticheggianti e (più) oscure. Lo si intuisce giù dall’incipit di Void Meridian, che apre il disco con un arpeggio liquido di chiara matrice eighties, a cavallo tra Sisters Of Mercy e Siouxsie And The Banshees, un’ulteriore dimostrazione di come i Messa abbiano parecchie carte da giocarsi e non tutte necessariamente provenienti dalla loro ovvia formazione metal (che comunque si rifà sotto nella seconda parte del pezzo, quando parte un assolo più classicamente heavy).
I sei minuti del primo estratto At Races proseguono sulla stessa lunghezza d’onda, con le stesse chitarre e la stessa esplosione sul finale, nel mezzo tanti Killing Joke e un afflato tipicamente goth rock che la voce di Bianchin cavalca abilmente. La tensione doomeggiante scolpita dalla sezione ritmica di Fire On The Roof, il pianoforte che percorre Immolation e in cui s’incastona il miglior riff del disco, l’intro blueseggiato di Reveal che finisce per fare a botte con un’elettricità tutta sabbathiana, i languori che diventano urla della conclusiva Thicker Blood, sono tutte le variabili messe in campo dai Messa per dare dinamica a un disco pesante per concezione ma molto fruibile nella sua stesura. E poi c’è The Dress, il vero highlight dell’intero lavoro col suo invadente magnetismo, un coacervo di sintetizzatori acidi e nel mezzo una tromba inquietante che va a creare una sorta di cupissimo jazz prima dell’ennesima esplosione finale.
E così giunti al quarto lavoro in studio, con all’attivo anche una consistente esperienza dal vivo e importanti attenzioni ricevute anche fuori dai nostri confini, i Messa sembrano davvero pronti a fare − ma più probabilmente l’hanno appena fatto, visto il valore complessivo di “The Spin” − il definitivo salto di qualità, perché pare ormai evidente come abbiano ben chiaro in mente il modo in cui incanalare nella propria musica spunti tra i più disparati, rischiando, non avendo paura di osare ma mantenendo pur sempre saldo il loro immaginario di riferimento, che è quello che gli è valso e gli sta valendo le attenzioni di cui sopra. Davvero niente male.
2025 | Metal Blade
IN BREVE: 4/5