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Motorhead – Aftershock

aftershockIl rischio che Lemmy Kilmister si sia appartato con qualcuna delle nostre nonne o zie qualche decennio fa non è poi così remoto. Sessantotto anni il prossimo 24 dicembre, se si pensa che i sessantottenni medi vanno all’INPS a ritirare la pensione e la sera mettono la dentiera a mollo nel collutorio, Lemmy è inevitabilmente l’uomo bionico, nonostante gli acciacchi recenti. E non è certo un dato da sottovalutare se si nota come i più recenti dischi dei Motorhead siano quasi immuni da sonore stroncature, premiati più per riverenza (o simpatia) verso quella cocciutaggine stilistica che ne ha decretato il successo planetario che per reali meriti artistici. Diciamocelo dritto in faccia, i Motorhead suonano la stessa canzone da trent’anni, in parte è anche un voler vincere facile.

Ma, alla fine, che ce ne faremmo di un album diverso da come suona Aftershock? La ricerca e la sperimentazione la rintracciamo in altri lidi, qui si puzza e suda, si defeca per terra senza pulirsi e si sbraita nelle orecchie delle vecchiette, quelle a cui forse Lemmy ha rifilato un po’ di roccherrolle orizzontale.

Il ventunesimo album del trio inglese è quindi come lo si attende, caciarone e sboccato, con gli stessi riffazzi di sempre, con le stesse due, abrase linee vocali di sempre.

Heartbreaker parte all’impazzata come un’auto con un ubriaco al volante che irrompe in una sagra di paese. Ciò che ne consegue è quanto di più motorheadiano possa esserci sulla faccia della Terra. Dagli schiacciasassi End Of Time e Coup De Grace al mid-tempo spaccone di Silence When You Speak To Me, dagli eccessi punk’n’roll di Going To Mexico e Do You Believe alle pause per rifiatare di Dust And Glass e Lost Woman Blues, la pietanza ha tutti gli ingredienti che servono, è cotta a puntino ed è sapida al punto giusto.

L’unica pecca è l’eccessiva lunghezza di un album che poteva finire benissimo a dieci tracce anziché quattordici senza subire tragiche perdite. Resta il fatto che, nonostante tutto, Lemmy ed i Motorhead incarnano un principio fondamentale della musica tosta: se non ce l’ha nel sangue, il roccherrolle, uno non se lo può dare.

(2013, UDR)

01 Heartbreaker
02 Coup De Grace
03 Lost Woman Blues
04 End Of Time
05 Do You Believe
06 Death Machine
07 Dust And Glass
08 Going To Mexico
09 Silence When You Speak To Me
10 Crying Shame
11 Queen Of The Damned
12 Knife
13 Keep Your Powder Dry
14 Paralyzed

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