Condivisa lucidamente da Marcello, Martino e Igor. Sarà quel che sarà, insomma, il quartetto bellunese è fortunatamente quel che è: un patrimonio di cui andar fieri, da non rimpiangere negli anni che separano un album dall’altro, nella consapevolezza che qualcosa di certamente buono stia bollendo in pentola. Liberi da orchestrazioni rococò, produzioni ingombranti, testi a sensazione e mascherate ballads, i Nostri discretamente esplodono dieci nobili, nuovi brani d’appartamento, affogati nei giorni e nei gesti senza la glassa glicemica degli eccessi.
Rispetto al precedente “Dei Cani”, la narrazione melodica si fa a volte più austera (Le anitre, L’escamotage), a volte più ariosa (La bonne heure, di estrazione educatamente dalliana), ma nessun episodio tradisce l’indubbia gradevolezza compositiva che era lecito auspicarsi. Se pezzi come Le mogli, La sera, I condomini o la meravigliosa La caccia dovrebbero impossessarsi – in un Paese ideale – delle playlist quotidiane di ogni stazione radio degna di tal nome, ci si augura quantomeno lo faccia Il complotto, cui pianoforte fa l’inchino e accompagna, in qualità di singolo ed apripista, dentro le trame d’un lavoro gentile e nondimeno spinoso.
Come un dipinto di Vermeer, primo autentico regista nouvelle vague, L’Amore Fin Che Dura attraversa la luce per rapire un’immagine che non nutre il desiderio di epicizzarsi, per rendersi memorabile. Che è cosciente dell’albero caduto, sebbene la foresta, attorno, taccia. Che diviene grande nel piccolo, ma giunge piccola tra i grandi. Che può descrivere molti casi, appartenere a molte vite. Che è pop, insomma, senza violenze e senza canovacci. Senza mediocrità, senza insipidezza, con un’identità vivace e perfettamente circoscritta. Vallo a spiegare a certi cantautori.
(2014, Picicca Dischi / Sony)
01 Il complotto
02 Le mogli
03 Le anitre
04 Gli acrobati
05 La sera
06 L’escamotage
07 Lo zio
08 La bonne heure
09 I condomini
10 La caccia
IN BREVE: 3/5