Si fatica davvero tanto a tenere il conto di quanti album, quanti brani, quanti progetti siano stati “toccati” da David Pajo e la sua chitarra da trentacinque anni a questa parte. Gli Slint e i The For Carnation, i Tortoise e gli Zwan, l’amico Will Oldham e chi più ne ha più ne metta. E poi ovviamente le tante incarnazioni del Pajo solista, una marea di dischi tutti all’insegna delle sue tessiture alla sei corde, sempre nel segno di quel post rock di cui è stato alfiere e stella polare per le generazioni a seguire. E tra i suoi moniker più longevi c’è ovviamente Papa M, che torna adesso a sei di distanza da “A Broke Moon Rises” (2018) con un nuovo disco, Ballads Of Harry Houdini, che è ancora un altro rimescolamento di ciò che Pajo ha saputo proporci nel corso di un’intera vita artistica.
Sarebbe semplice e forse persino banale derubricare le sei tracce per quaranta minuti scarsi di quest’album sotto la voce post rock, vista la loro natura prettamente strumentale, quindi conviene andare un attimo più in profondità per accorgersi che c’è dell’altro all’interno di “Ballads Of Harry Houdini”. A partire dalla copertina, che vede i riferimenti anagrafici in alto e sotto una foto di Pajo in giacca sixties e chitarra d’ordinanza alla mano, quello di Papa M è un tuffo in suoni datati che ci azzarderemmo a definire post blues: Ode To Mark White (che è tomwaitsiana fino al midollo) e Rainbow Of Gloom (che invece ha più di qualcosa di un Mark Lanegan d’annata) stanno proprio lì a dimostrarcelo, ballate polverose che pescano nella tradizione, che la rimasticano e poi la restituiscono con sopra il DNA di Pajo ben riscontrabile.
Il più classico post rock al ralenti della casa di Thank You For Talking To Me (When I Was Fast), la psichedelia cosmica di People’s Free Food Program, il blues jazzato di Barfighter e le flebili pulsazioni digitali della conclusiva Devil Tongue completano il quadro di un album godibile e ricercato dal primo all’ultimo minuto. Sperimentale o classico a seconda della sua pura e semplice ispirazione del momento, solo David Pajo − o magari neanche lui − sa dove potranno ancora andare a parare la sua chitarra e il progetto Papa M (o qualsiasi altro nome vorrà utilizzare), ma c’è da starne certi che non sarà mai qualcosa di buttato lì a caso tanto per giustificare tour in giro per il mondo. Perché Pajo non ha proprio nulla da dimostrare a nessuno.
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IN BREVE: 3/5