Ma se Parker per la propria band ha preferito sacrificare lo spirito di cazzoneria per la diligenza e il suono incasinato e bordellaro senza compromessi per un suono pop nitido ed efficace, Allbrook non ne vuole sentire neanche parlare di accessibilità, né sembra interessargli raggiungere il successo dei compari. Anzi, l’impressione è che non sia particolarmente entusiasta dell’attenzione (che, come qualunque cosa nel mondo dello spettacolo, è effimera e sparirà presto).
Più farfuglianti e meno divertenti del solito, con questo Man It Feels Like Space Again (titolo che deriva da un commento di Jay Watson durante – come ti sbagli? – un trip da acido) i Pond continuano a naufragare nel mare della psichedelia senza una particolare direzione, lambendo le coste ora dei Beatles, ora del glam, giocando a fare i Prince di tanto in tanto, ma mai per una canzone intera.
E questo è il sostanziale problema dell’album, il fatto che laddove si trovi un’idea interessante, un riff, una melodia, non venga sviluppata ma lasciata stemperare nella noia, come ad esempio accade per Outside Is The Right Side, che parte con uno stonato funk-pop molto promettente, ma si perde pigramente nella mancanza di un efficace ritornello, di un bridge convincente, e alla fine dei suoi cinque lunghi minuti lascia basiti più che esaltati.
La gran parte dell’album soffre di questa sballata disattenzione, senza dubbio anarchicamente volontaria, ma che fa sì che gli episodi veramente interessanti dell’album siano pochi, nello specifico le due ballatone Heroic Shart e Sitting Up On Our Crane, non a caso due istanze nelle quali un’idea iniziale viene portata a compimento; e non è un caso nemmeno che siano due dei pezzi più rilassati, dato che quando i ragazzi di Perth la buttano in cagnara tendono ad incorporare tre o quattro idee nella medesima canzone, che è un’idea fantastica se quella canzone è “Bohemian Rhapsody” o “Stairway To Heaven”, ma negli altri casi la storia ha insegnato come non sia sempre consigliabile.
Insomma, ci troviamo di fronte ad uno di quei classici album che fa divertire molto chi lo realizza, ma tale divertimento non si traduce in automatico divertimento per l’ascoltatore, che, se gli va di culo, riesce a stare sveglio per i 45 incasinatissimi minuti che lo compongono. Sarà contento il buon Allbrook di sapere che il rischio di ripercorrere i passi degli amici Tame Impala al momento è discretamente lontano.
(2015, Caroline)
01 Waiting Around for Grace
02 Elvis’ Flaming Star
03 Holding Out For You
04 Zond
05 Heroic Shart
06 Sitting Up On Our Crane
07 Outside Is The Right Side
08 Medicine Hat
09 Man It Feels Like Space Again
IN BREVE: 2,5/5