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Pufuleti – Catarsi Aiwa Maxibon

In questo momento in Sicilia, come altrove, si parla poco di rap e molto – purtroppo – di trap. Ma in Sicilia, che si sa è terra d’ingegno, se ne parla addirittura per una degenerazione da Cerbero, peculiarmente imbarazzante e per questo quasi orgogliosamente atroce. In Sicilia cioè – per la precisione a Catania – i cantanti neomelodici si sono messi a fare rime (scarse) in metrica (scarsa) assemblando featuring con sedicenti nuove leve (tendenzialmente scarse) perché hanno riconosciuto, in loro, quel sistema di valori analogo che in fondo li accomuna: uno splendido caleidoscopio di presunta malavita, di rivalsa sociale guadagnata attraverso la droga, l’oggettivazione ossessiva della donna, l’esclusività di un percorso esperienziale terribile e proprio perché esclusivo ascoltato centinaia – sì – di migliaia di volte su YouTube e Spotify.

Insomma: il perfetto contrappunto meridionale all’epopea dell’eroe settentrionale che attraverso la fama e il successo (quelli sì che sono valori sani) guadagna finalmente il rispetto che non ha mai ottenuto da, non si sa bene, bambino? Adolescente? Da qualunque altitudine si osservi il fenomeno in Italia, viene solo un gran mal di testa. Per fortuna, però, che il rap senza la t davanti è vivo e lotta insieme a noi. E proprio dalla Sicilia, alla lontana, scopre uno dei suoi più carismatici neopaladini: Pufuleti. Agrigentino di nascita e tedesco d’azione sin dall’infanzia, Giuseppe Licata ha uno stile che in fondo può essere riassunto nel titolo della sua prima raccolta: “Tumbulata”, che in siculo significa scoppola, schiaffo.

In Catarsi Aiwa Maxibon c’è un tripudio di lingue (italiano, tedesco, siciliano, inglese) che nel suo nonsense difende l’idioma che fu di Dante più di quei quattro chiasmi in croce sputati da pletore di ragazzotti coi capelli ossigenati, spesso nemmeno troppo stroncati da chi avrebbe il dovere di chiamare lo schifo col suo nome. Provare per credere l’ottimo trittico Montecore / Catafratto / Post Piscina 99 oppure Cam, prove inconfutabili di una fluidità di genere che osa connettere A Tribe Called Quest e cLOUDDEAD, In The Panchine e Uochi Toki, storia del TV advert e storia contemporanea, contrada di paese e mondo globalizzato. 

Forse, come un anno or sono, sono pochi venti minuti per capire se Pufuleti faccia sul serio o se siamo noi a prendere troppo sul serio Pufuleti. Forse sono entrambe le cose. Ma c’è di sicuro più vitalità in questi undici brani che nelle intere discografie di mille insulsi, patetici e odiosi cloni di altri se stessi.

(2020, La Tempesta)

01 Il gancio
02 BBC Cocau
03 Dux Tufo
04 Montecore
05 Catafratto
06 Post Piscina 99
07 Cam
08 Gizeh
09 Super Play-Doh
10 Tatzlwurm
11 Sparacogna

IN BREVE: 3,5/5

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