Il gruppo proviene da Melbourne, Australia ed è nel giro della Sub Pop già da un po’ di tempo (ha all’attivo un paio di loro pubblicazioni, tra cui il singolo apripista dell’album, Mainland). Hope Downs esce accompagnato da un certo hype che si giustifica da sé con il riscontro positivo che ne consegue e la consapevolezza di fondo che questo successo potrebbe essere effimero e avere quella durata tipica di 15 minuti profetizzata dal Nostradamus della pop art Andy Warhol. Questo chiaramente non significa che i contenuti del disco siano in sé spiacevoli.
Prodotto con l’assistenza di Liam Judson, “Hope Downs” è sostanzialmente una raccolta di dieci pezzi dall’estetica marcatamente lo-fi, la cui freschezza del sound rimanda ai soliti riferimenti del genere come i Pavement di Stephen Malkmus o esperienze più recenti e paragoni meno scomodi come Ultimate Painting e Sunflower Bean (ma come punto di riferimento ci possono stare benissimo anche i primi Strokes e il pop dei Tame Impala, qui per fortuna reso in maniera meno sofisticata e senza tutto quello inutile sfarzo).
Le canzoni tuttavia, per quanto ripetitive, a partire proprio dallo stesso singolo Mainland, oppure Talking Straight, Time In Common, The Hammer, sono comunque convincenti proprio per la facilità e l’immediatezza dello stile compositivo di un gruppo la cui unica pecca sta solo nella pretesa di chi vuole farne una next big thing a tutti i costi. “Hope Downs” è un disco che dà molto solo non gli si chiede troppo, piace per il suo essere disimpegnato e per certa autenticità e sensibilità che in pezzi come Cappuccino City e How Long? fa sentire anche quell’eco Dunedin Sound che è sicuramente un valore aggiunto.
(2018, Sub Pop)
01 An Air Conditioned Man
02 Talking Straight
03 Mainland
04 Time In Common
05 Sister’s Jeans
06 Bellarine
07 Cappuccino City
08 Exclusive Grave
09 How Long?
10 The Hammer
IN BREVE: 2,5/5