Ma non fatevi depistare, nonostante tutto la banda guidata dal carismatico cantante/sassofonista Jorgen Munkeby ha ancora una fisionomia familiare grazie a costruzioni ritmiche cervellotiche e textures irrobustite da synth che, uniti alle chitarre, generano un suono algido e tagliente. Inoltre, continua a sprizzare ferocia da ogni poro.
Basta mettere su Last Day, piatto forte di questo settimo album in studio, per capire che l’elemento brutale persiste: un assalto all’arma bianca che unisce i Queens Of The Stone Age più tirati alla ferraglia industriale (da non perdere il video girato sulla sommità del Trolltunga, una lingua di pietra sospesa a 700 metri d’altezza sul lago di Ringedalsvatnet in Norvegia).
C’è un’immanente sensazione di catastrofe imminente in “International Blackjazz Society”, come testimonia la crudele Burn It All, un caos martellante che emerge dagli abissi. Gli Shining però non rinunciano né al groove, estraendo dal cilindro una The Last Stand che mostra più di un punto di contatto con i Nine Inch Nails danzerecci di “The Hand That Feeds”, né tanto meno agli sprazzi di follia jazz con House Of Warship, che sfocia poi nello slancio melodico di House Of Control.
La band appare in forma smagliante, ispirata e capace di rinnovarsi senza perdere credibilità e forza bruta. Gli Shining confezionano un album eccelso che non suona mai autocelebrativo, è evidente che siano all’apice della loro maturità artistica.
(2015, Spinefarm)
01 Admittance
02 The Last Stand
03 Burn It All
04 Last Day
05 Thousand Eyes
06 House Of Warship
07 House Of Control
08 Church Of Endurance
09 Need
IN BREVE: 4/5