Correre e non guardarsi indietro. Sfreccianti e sgomenti mentre il mondo piove rottami e fulmini viola, immaginateli così Jonsi Birgisson, Georg Holm, Orri Dyrason in questo nuovo Kveikur. Correre e non guardarsi indietro. Perché i Sigur Ros con “Valtari” s’erano lasciati inghiottire dalle sabbie mobili della new age e della musica come (magra) consolazione. Un disco stanco, “Valtari”, stanchissimo, forse preda di qualche frizione ideologica (e di concetto) e di qualche rapporto personale finito male (leggasi Kjartan Sveinsson andato via perché giunta l’ora di fare qualcosa di diverso).
Oppure – ancora – vittima di una crisi d’identità fatalmente pronta a fare capolino quando ormai sono vent’anni che i folletti di Reykjavik calcano le scene. Ecco perché i Sigur Ros, quando inizia Brennisteinn vanno già di corsa. Ecco perché in “Kveikur” (griffato dall’indipendente XL Recordings, a dieci anni dall’ultima volta) non c’è posto per le fascinazioni.
Ora c’è un baccano da cui ripararsi, c’è l’industrial che svezza e morde. C’è la paura, c’è il tanfo di zolfo, c’è una cascata di ossidiana (Hrafntinna), ci sono le immagini terrificanti di un iceberg che si frantuma in mille pezzi (Isjaki), c’è un suono agrodolce e dance (Yfirbord), mai più celestiale e poetico, piuttosto pittoresco e agghiacciante. Anche l’hopelandic di Jonsi non commuove incastrato a forza tra queste tracce, piuttosto racconta di malesseri (Rafstraumur) pericolosi come fili elettrici scoperti, come nervi a fior di pelle, come carne fresca cui affondare il coltello.
Sì, “Kveikur” è il disco in cui i Sigur Ros perdono definitivamente il loro disincanto, guardando al mondo non più come miracolo portato in dono, ma come possibile minaccia. E allora correre, correre, correre. Non c’è più tempo per guardarsi indietro. Non c’è un momento da perdere – sembra strillare Jónsi – prima che la rosa della vittoria finisca per appassire mestamente.
(2013, XL)
01 Brennisteinn
02 Hrafntinna
03 Isjaki
04 Yfirbord
05 Stormur
06 Kveikur
07 Rafstraumur
08 Blapradur
09 Var