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Sigur Ros – Valtari

Stretto in ali da pennuto mentre vaga in un bosco di fate (nel video di “Go Do”); fidanzatino di un partner compagno di vita e musica; divertito gossippato nelle sue varie “particolarità” (un occhio cieco, la sessualità incerta, il vegetarianismo radicale), Jonsi Birgisson è uscito fuori dal letargo. Una trasformazione la sua: da leader metafisico a icona pop (una sorta di Boy George, meno frivolo), da pallido vocalist del Nord a emblema cult di rocktown, da filosofo ambient (in dischi come “Von” e “Agaetis Byrjun”) a Peter Pan snodabile in “Með Suð Í Eyrum Við Spilum Endalaust” e “Go”. E i Sigur Ros? Tutt’attorno naturalmente. “Vittime” dei saliscendi e degli umori (a quanto dicono) velocissimamente cangianti di Jon. Talmente tanto cangianti che oggi il folletto androgino e frizzante ritorna con Valtari – sesto dico in studio degli islandesi – all’antico letargo. Immaginatevelo così il nuovo disco dei suoi Sigur Ros, immaginatevi i quattro camaleonti confusi tra scacchiere di alberi neri, baie spettrali, favole metafisiche, con buona pace di chi pensava di sapere tutto dell’Islanda come villaggio vacanze per le proprie ferie intellettuali. “No. Fermi tutti. Le cartoline cercatele altrove” – sembrano voler dire i Sigur Ros con questa tracklist. “Valtari” è un album densissimo di mistero (Fjögur Píanó), obliquo (Varúð), sacrale (Ekki Mùkk, Dauðalogn), certamente privo di grandi inni pagani come in passato. Forse un vero ritorno a casa quello di Jonsi e dei Sigur Ros. Un regresso a quindici anni fa, a quando cioè di Jon Por Birgisson da Reykjavik non si sapeva assolutamente nulla e a quando l’Hopelandic non era la parola figa da sfoggiare negli happening indie. “Valtari” è invece ricoperto di rumori antichi, respiri, scoppiettii, il suono dei Sigur Ros non scroscia mai netto, invece si perde in numerosi rivoli e rigagnoli di musica. Canzoni chiarissime e buissime senza soluzione di continuità, paesaggi totali senza mezze vie, atmosfere che abbiamo imparato a conoscere a menadito. E l’immagine, a questo punto, è quella di un bambino che corre su un vecchio molo accompagnato da uno stormo grigio di gabbiani. A corredarla, numeri in countdown, il lampeggiare di un rec e la risoluzione giallognola di una vecchia JVC. Perché se il passato è sempre bello da raccontare e il ritorno a casa scioglierebbe il cuore di chiunque… ogni passo indietro è da considerarsi sempre una sconfitta.

(2012, XL / Capitol)

01 Ég Anda
02 Ekki Múkk
03 Varúð
04 Rembihnútur
05 Dauðalog
06 Varðeldur
07 Valtari
08 Fjögur Píanó

A cura di Riccardo Marra

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