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Skunk Anansie – Anarchytecture

anarchytectureChe negli anni la carriera degli Skunk Anansie abbia avuto un percorso a livello mondiale e un altro per l’Italia è un dato di fatto inoppugnabile. L’apprezzamento nei loro confronti è sempre stato altissimo, esponenzialmente più di quanto ottenuto da Skin e soci persino nella natia Inghilterra.

Va da sé, dunque, che la band punti sempre tanto sul nostro Paese quando si tratta di promuovere qualcosa di nuovo, non stupisce che Skin abbia scelto di cimentarsi nel ruolo di giudice proprio per l’ultima edizione italiana di X Factor, così come l’accasamento alla nostrana Carosello Records, etichetta per cui licenziano questo Anarchytecture, loro sesto lavoro in studio, terzo dalla reunion del 2009. Un progressivo e crescente radicamento in Italia che fa felici i tantissimi fan e provoca al contempo lo snobismo (più o meno giustificato) di tutti gli altri.

La seconda metà degli anni ’90 in cui gli Skunk Anansie banchettavano sul tavolo di MTV grazie a singoli/video dall’indubbio impatto è lontana, tanto quanto la vena politicizzata che dava un tocco in più al pop rock onesto – e anche gradevole, ammettiamolo – dei primi tre dischi dei quattro. Gli esordi graffianti di “Paranoid & Sunburnt” (1995) e “Stoosh” (1996) avevano lasciato spazio già col seguente “Post Orgasmic Chill” (1999) a una mistione con l’elettronica tipica del periodo e che la band non ha mai più abbandonato fino a oggi, facendone proprio marchio distintivo e condanna.

In “Anarchytecture” troviamo il rockettino patinato di Beauty Is Your Curse, Bullets e That Sinking Feeling, la sferzata crossover della brevissima Suckers! e le consuete ballatone che tanta fortuna hanno portato agli Skunk Anansie: Death To The Lovers poggia su una base quasi trip hop che alla lunga finisce per piacere, mentre toppa I’ll Let You Down, carente com’è di quel pathos che Skin ha sempre distribuito a profusione.

Victim è l’unico momento in cui si percepisce un po’ dell’inquietudine di due decenni fa, mentre non si capisce dove vogliano andare a parare le sconnesse Without You e We Are The Flames, riempitivi e nulla più. Il computo delle tracce giunge al termine con i cenni quasi dance del singolo Love Someone Else e di In The Back Room, che provano non riuscendoci a rinfrescare la proposta della band, rappresentando invece il maggior motivo di disappunto dell’album.

La voce di Skin, checché se ne dica, resta sempre magnetica, cangiante e adatta a molteplici sfumature nonostante gli anni che passano, facendo sorgere ancora adesso l’interrogativo su quanto avrebbe potuto dare di più se supportata da brani e musicisti di altro spessore. Nella sostanza, però, ciò che seguono gli Skunk Anansie ormai da vent’anni è sempre lo stesso canovaccio, in modo ripetitivo e anche un po’ ruffiano, ma i numeri restano dalla loro e “Anarchytecture” sarà l’ennesimo tassello riuscito di una discografia monocromatica.

(2016, Carosello)

01 Love Someone Else
02 Victim
03 Beauty Is Your Curse
04 Death To The Lovers
05 In The Back Room
06 Bullets
07 That Sinking Feeling
08 Without You
09 Suckers!
10 We Are The Flames
11 I’ll Let You Down

IN BREVE: 2,5/5

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