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Sons Of Kemet – Black To The Future

“Negus del campo” | “Raccogli la tua croce che brucia” | “Pensa a casa” | “Datti da fare” | “Per la cultura” | “Per non dimenticare mai la fonte” | “In ricordo dei caduti” | “Lascia che il cerchio si spezzi” | “Visualizza te stesso levitare” | “Nella follia” | “Sii forte” | “Nero”

Così Shabaka Hutchings ha voluto titolare e ordinare le tracce del quarto album della sua eccellente band, con una narrativa poetica che, con il dono dell’essere efficaci quanto concisi, riesce a tracciare un passato-presente-futuro dell’esperienza nera nella società occidentale. Mai come adesso dai tempi del Reverendo King e di Malcolm X si è cercato di affrontare il discorso del ridurre le disuguaglianze – soprattutto per gli afroamericani, ma questa è tutto fuorché una questione geografica – e di cercare di costruire una società davveroequa. “I can’t believe I’m still protesting this shit”, recita un famoso cartello che si può spesso vedere nelle manifestazioni; e così sembrano pensarla tanti artisti, quasi “costretti” dalle contingenze e dalla realtà a protestare per la merda che ancorasuccede, nel duemila e fottuto ventuno.

Il tono di Black To The Future viene immediatamente impostato da Field Negus, nella quale il poeta Joshua Idehen recita versi di rabbia (“I do not want your equality / It was never yours to give me”) accompagnato da un tagliente sassofono; Idehen tornerà a chiudere il cerchio con la conclusiva Black, che sostanzialmente afferma che non si sta chiedendo riparazioni o restituzioni, ma di poter tornare a casa senza che qualcuno ti spari per il colore della pelle (“Black says “keep your forty acres / Just let black reach for the end of the street”).

Racchiuso in queste parentesi fortemente politiche, piene di dolore, c’è il messaggio musicale di uno dei più straordinari ensemble musicali attivi al momento. Occasionalmente arricchito da parti cantate (come nella bellissima Hustle dove Kojoey Radical, aiutato nelle armonie dalla sempre meravigliosa Lianne La Havas, ripete “Born from the mud with the hustle inside me”), “Black To The Future” è sofisticato, intricato, a tratti idiosincratico. I suoi flauti, la tuba di Theon Cross, le due batterie di Tom Skinner ed Eddie Hick e, naturalmente, il sassofono del suo leader, sono stavolta meno furiosi del capolavoro del 2018 “Your Queen Is A Reptile”, ma più carichi di tensione, di una frustrazione che non era presente nell’acclamato predecessore. Ciò è particolarmente evidente in Let The Circle Be Unbroken, dove Hutchings sembra singhiozzare e poi soffocare dentro il suo sassofono, in una serie di suoni tanto cacofonici quanto disperati; perfetto contraltare del semplice, raffinato riff di To Never Forget The Source.  

“Black To The Future” è un altro viaggio straordinario nell’opera di Hutchings, che, come Kamasi Washington dall’altro lato dell’oceano, è riuscito a dare un significato moderno al jazz che, con urgenza, produce. Un messaggio basato non tanto su strutture armoniche e riproduzione di epoche passate, ma di libertà e passione, di desiderio di un mondo migliore. Riuscire a trasporre in musica qualcosa di così profondo non è da tutti. Anzi, non è quasi da nessuno.

“This black pain is dance / This black struggle is dance / And this black blaze is dance / Just leave black be!”

(2021, Impulse!)

01 Field Negus (feat. Joshua Idehen)
02 Pick Up Your Burning Cross (feat. Moor Mother & Angel Bat Dawid)
03 Think Of Home
04 Hustle (feat. Kojey Radical)
05 For The Culture (feat. D Double E  )
06 To Never Forget The Source
07 In Remembrance Of Those Fallen
08 Let The Circle Be Unbroken 
09 Envision Yourself Levitating
10 Throughout The Madness, Stay Strong
11 Black (feat. Joshua Idehen)

IN BREVE: 4,5/5

Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.

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