Collaboratore di nomi “pesanti” dell’indie come Panda Bear e Ariel Pink, Robert D. Robinson ha la sua, strampalata creatura. I Sore Eros sono attivi come band (nonostante un CD-R registrato da Robinson nel 2003, più o meno da solista) dal 2009 con l’ottimo “Second Chants”, a oggi sicuramente la miglior prova del gruppo, e da allora propongono una versione estremamente lo-fi della psichedelia che non suona particolarmente nuova né particolarmente mirabile tecnicamente, ma che tuttavia risulta, nel suo intimismo, a tratti molto gradevole.
Diretto da Adam Granduciel dei The War On Drugs e con la collaborazione di Kurt Vile (che appare con la band sin dal 2009) e di Dan Oxenberg, l’album – pur contenendo larghe parti di improvvisazione – è certamente l’opera più ben strutturata della band, merito probabilmente anche della cristallina produzione di Granduciel, che rimette ordine dopo il casino di “Say People” (2015), ultimo album della band di Robinson (pubblicato su Bandcamp e in formato VHS, per ragioni a noi non comprensibili), nel quale la coerenza non era esattamente uno dei valori in luce.
Sore Eros non ha grandissime vette: il miglior pezzo dell’album arriva quasi in chiusura (una Diamond Highway nella quale domina un caldo sassofono e che si conclude con una altrettanto sensuale armonica), ma per il resto scorre, sonnacchioso e confidenziale, come un sogno in dormiveglia nel quale ci accompagna uno sgangherato narratore dalla voce flebile ma sicura.
(2020, Feeding Tube)
01 Backseat Bop
02 Out Of Phase
03 Tree Vole
04 Dharma
05 Chestnut Follies
06 Ocean Tow
07 Cardinal
08 Diamond Highway
09 Mirror
IN BREVE: 3,5/5