Il progetto capitanato da Pierce (il singolare usato nella introduzione alla recensione non è casuale, perché del resto il gruppo non esisterebbe senza di lui) va avanti oramai da quasi trent’anni: la lungimiranza, chiamiamola così, la coincidenza con la grande attenzione sulla scena musicale britannica a partire dalla metà degli anni Novanta, la facilità nella diffusione della musica negli ultimi anni e l’estetica accattivante del progetto, soprattutto le sonorità pop e l’innata e spiccata sensibilità compositiva che ne costituisce la ratio, hanno in qualche parte presso il grande pubblico seppellito la gloriosa epopea degli Spacemen 3 e archiviato quella in realtà seminale e fondamentale esperienza nel cassetto.
Inutile dire che questo valga solo a livello “massivo”: chi è addentro a sonorità psichedeliche più avanzate non potrà che convenire sulla grandezza del gruppo guidato principalmente proprio da Jason e da Peter Kember, la loro discografia è esemplare, così misteriosa e ricca di spunti che alla fine forse le cose migliori sono il live a Brentford “Dreamweapon: An Evening Of Contemporary Sitar Music” e “Taking Drugs To Make Music To Take Drugs To”.
Lo stesso Jason Pierce nelle dichiarazioni rilasciate per la presentazione del disco non ha avuto nessuna remora nell’ammettere che la definizione “psichedelia”accostata alla sua musica gli importi poco o nulla, ed è giusto così. Preferisce parlare di rock ‘n’ roll, nicchia sulle possibilità di porre fine al progetto e fa il punto sui suoi 53 anni e come questo disco costituisca una novità per lui per quello che riguarda il piano compositivo.
Registrato nella sua casa nell’East London in diverse fasi, sul piano complessivo J. ha voluto lavorare a un disco che suonasse in maniera unitaria e che desse all’ascoltatore la sensazione di trovarsi al cospetto di una sola unica jam session, sicuramente in questo condizionato dalla sua fascinazione per generi e performance come il gospel e la canzone corale. Un incontro ideale tra musica pop e questi spiritualche ha praticamente già esplorato e sviscerato in tutti i suoi album e che qui a fronte di una maturità sviluppa con perfetta consapevolezza e in maniera metodica.
Sfila così tutto il campionario tipico: ninne nanne come A Perfect Mirale (con tanto di arrangiamenti di archi e fiati), il carillon di Damaged con le vibrazioni di chitarra elettrica e un uso del riverbero di imprinting fine anni Novanta, il gospel corale The Prize. Non manca ovviamente il solito boogie interminabile (On The Sunshine, ma anche The Morning After), praticamente ce n’è uno in ogni disco, e qualche passaggio come Sail On Through può anche essere definito poco originale. Al cuore del progetto la sequenza I’m Your Man, Here It Comes (The Road) Let’s Go, Let’s Dance, pezzi praticamente pop ma con arrangiamenti orchestrali che per poco non sfiorano i Beatles di “Sgt. Pepper”.
Il bilancio è sicuramente positivo, ma come dicevamo in apertura nulla di nuovo. Le considerazioni fatte da Jason Pierce sulla possibile fine della storia del progetto Spiritualized fanno sicuramente pensare, forse in qualche modo questa storia ha fatto il suo tempo: chiudere adesso significherebbe farlo senza fuochi d’artificio, ma comunque al top della maturità raggiunta. Dire cosa sia giusto oppure sbagliato, se cambiare oppure no, questo può deciderlo solo lui. Il disco non dispiacerà agli aficionados, anche se magari non lo troveranno più entusiasmante dopo qualche ascolto, cosa che probabilmente accadrà invece a chi si avvicina per la prima volta alla sua musica.
(2018, Bella Union / Fat Possum)
01 A Perfect Miracle
02 I’m Your Man
03 Here It Comes (The Road) Let’s Go
04 Let’s Dance
05 On The Sunshine
06 Damaged
07 The Morning After
08 The Prize
09 Sail On Through
IN BREVE:3/5