L’omonimo quarto lavoro a firma St. Vincent, così, risente in maniera inevitabile di quell’eleganza pop di cui Byrne è stato ed è alfiere. Ma c’è di più, perché il lavoro ai fianchi svolto da Byrne altro non è stato se non un continuo arrotondamento di certe asperità compositive che avevano convinto molti ad affibbiare a St. Vincent un’ingombrante etichetta: art. Art cosa? Art pop? Art rock? In qualsiasi modo la si declini, quella parolina è sempre accostata a chi viene riconosciuto in qualche modo come “complicato”, nella sfumatura migliore del termine.
St. Vincent, invece, è pop nell’accezione più profonda: solo due brani su undici superano i quattro minuti di durata (Prince Johnny e il pezzo seguente) e le strutture stesse delle canzoni sono quanto di più catchy e accessibile mai partorito dalla Clark. Vedi i due singoli Birth In Reverse e Digital Witness, dotati di refrain (soprattutto quello della seconda traccia) che si stampano in testa con una certa facilità.
In mezzo al continuo groviglio di synth e drum machine, onnipresente base strumentale del disco, troviamo anche dell’altro: ad esempio un po’ di funk nell’iniziale Rattlesnake o nella seconda metà di Huey Newton; poi un paio di delicatissime ballate (I Prefer Your Love, dedicata alla madre, e la conclusiva Severed Crossed Fingers) che fanno toccare all’album i suoi picchi emotivi.
Questo self titled di St. Vincent si attesta senza alcun dubbio come il miglior lavoro della produzione della genietta americana, riuscitissimo punto d’incontro fra le influenze della Clark, la sua innata voglia di sperimentare ed aggiungere ad ogni episodio nuovi elementi e un’indole pop necessaria per ottenere consensi e giudizi positivi su larga scala. La definitiva consacrazione di una stella.
(2014, Loma Vista / Universal)
01 Rattlesnake
02 Birth In Reverse
03 Prince Johnny
04 Huey Newton
05 Digital Witness
06 I Prefer Your Love
07 Regret
08 Bring Me Your Loves
09 Psychopath
10 Every Tree Disappears
11 Severed Crossed Fingers
IN BREVE: 4,5/5