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Strokes – Angles

La nuova moda dei gruppetti indie marchiati 2000 è quella di “sconvolgere” con la mossa che non t’aspetti, col colpo ad effetto del tipo “ora vi facciamo vedere noi di cosa siamo capaci”, in barba alle critiche mosse riguardo la nauseante ripetitività che pervade pressoché tutti i lavori di questa nube di formazioni coi jeans attillati. Sconvolgere in che modo? Sanno suonare sì e no quattro accordi, al di là di strofa-ritornello-strofa non riescono mica ad andare, e quindi che si fa? Si prendono un computerino ed un sintetizzatorino, li si attacca agli strumentini e via di elettronica. L’hanno fatto i Bloc Party, l’hanno fatto i Franz Ferdinand e adesso, com’era largamente prevedibile, è arrivato il momento dei newyorkesi Strokes. La si attendeva al varco la band di Julian Casablancas, dopo un bel po’ di anni in cui non aveva dato proprie notizie, eccezion fatta per i soliti rumors gossippari. Ma davvero servivano la bellezza di cinque anni per uscirsene poi con questo Angles? Insomma, non che Casablancas stesso o il chitarrista Albert Hammond Jr. avessero convinto più di tanto coi loro lavori in solitario (soprattutto il primo, uscitosene un paio d’anni fa con il pessimo “Phrazes For The Young”), ma credevamo sinceramente che un lasso di tempo tale avrebbe giustificato un lavoro quantomeno accettabile. Cosa che “Angles” non è, senza mezzi termini. I campionamenti eighties che percorrono da cima a fondo l’album sembrano realizzati con un Game Boy, tanto sono dozzinali e grossolani. Con l’unica differenza che il Game Boy, a dispetto degli Strokes, ha fatto la storia. Banale il citazionismo praticato a mani basse e senza criterio (ad esempio i primi Muse in Metabolism), banale e scontato l’auto-citazionismo (vedi Under Cover Of DarknessGratisfaction), banale l’uso degli inserti elettronici, roba così trash da ricordare certi filmetti americani degli anni ’80, di quelli con Eddie Murphy come protagonista (Machu PicchuTwo Kinds Of HappinessGames). E poi, se qualche anno fa a salvare la barca che affondava c’era comunque la voce di Casablancas, adesso anche quella viene a mancare: le urla graffianti lasciano spazio a sterili vocalizzi. Saranno pure cool, avranno anche l’hype giusto, ma questi Strokes annoiano tremendamente.

(2011, RCA / Rough Trade)

01 Machu Picchu
02 Under Cover Of Darkness
03 Two Kinds Of Happiness
04 You’re So Right
05 Taken For A Fool
06 Games
07 Call Me Back
08 Gratisfaction
09 Metabolism
10 Life Is Simple In The Moonlight

A cura di Emanuele Brunetto

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