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Tess Parks – Pomegranate

Quanta classe Tess Parks. Non c’è un’altra come lei in circolazione, ormai da qualche anno a questa parte vera e propria punta di diamante di un certo modo di reinterpretare in chiave moderna quella psichedelia tipicamente sixties/seventies che tanto ci ha fatto e continua a farci accelerare il battito cardiaco. Tess ci mette sempre dentro un po’ di sano rock’n’roll, una marea di striature dream pop che conferiscono alla sua musica quel necessario tocco trasognato e, soprattutto, la sua consueta interpretazione, ammaliante come poche altre, suadente e narcolettica, quella narcolessia da oppiacei che fa il paio con ciò che ci fa ascoltare.

Sembriamo innamorati di Tess Parks? Beh sì, lo siamo irrimediabilmente. Anche perché questo Pomegranate, che arriva a due anni dal meraviglioso “And Those Who Were Seen Dancing” (2022), riprende il discorso esattamente dove Parks l’aveva interrotto, altre nove tracce fuori dal tempo e dallo spazio in cui l’artista canadese dà fondo a intuizioni e sensazioni. A partire dal flauto lisergico che infarcisce l’iniziale Bagpipe Blues, un languido blues cosmico che pesca qualche atmosfera nel mai troppo incensato repertorio degli Spiritualized. E poi la malinconia che serpeggia silenziosa nell’illuminatissimo singolo California’s Dreaming, anni ’60 à gogo e quel sogno americano tradito che sta lì sullo sfondo a far ombra su Tess mentre ci parla di fottute bugie (“This California dream is a fucking lie… Well the California dream is a lie / Are you surprised?”).

Il fulcro del disco sta però tutto in quei momenti in cui l’espressionismo di Tess si fa più dreamy che altrove: è il caso di tre brani in modo particolare, Koalas, Lemon Poppy e Crown Shy. I Mazzy Star e la loro indolente California sono un punto di riferimento infinitamente significativo, mentre fischiettii (nel primo dei tre brani), consistente acustica di stampo brit (nel secondo) e flebili sezioni d’archi (nel terzo) assestano un colpo fondamentale all’evoluzione dei pezzi. Senza dimenticare Charlie Potato, oltre sei minuti di un viaggio al ralenti in cui Parks accompagna l’ascoltatore attraverso la sua narrazione, su una base jazzata che ne sottolinea ogni passaggio e ancora una volta il flauto a intarsiare il tutto.

Sul finire, poi, arriva la quota sintetica del disco: in Running Home To Sing sono pulsazioni rallentate che dettano il tempo dell’intero pezzo e gli regalano un’atmosfera spacey (la stessa che, per altri versi, avvolge anche Sunnyside), mentre in Surround si percepisce un’acidità che si piazza davvero bene a chiusura dell’intero lavoro, ampliando ulteriormente la palette dei quaranta minuti scarsi di “Pomegranate”, quasi a voler competere con la copertina stessa dell’album. Insomma, quanta classe Tess Parks, sì.

2024 | Fuzz Club

IN BREVE: 4/5

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