Non so voi, ma il primo aggettivo che ci viene in mente ogni volta che ascoltiamo un disco dei The Body, che sia firmato esclusivamente a loro nome o in collaborazione con qualcun altro (e sono davvero tante le collaborazioni che hanno messo in piedi nel corso degli anni), è sempre e soltanto uno: estremo. Perché Chip King e Lee Buford ci sguazzano nell’estremo, lo cavalcano, lo passano ripetutamente per le lame, lo fanno proprio, lo violentano in ogni modo possibile e immaginabile, tirando ogni volta fuori un nuovo e sempre più lugubre spaccato di malattia e rumore. E non fa ovviamente differenza neanche questo The Crying Out Of Things, che è il loro ottavo lavoro in studio e arriva alla fine di un anno che li ha già visti uscire con “Orchards Of A Futile Heaven”, disco in collaborazione con Dis Fig, ultimo capitolo di quella che − come dicevamo poco sopra − è la routine collaborativa del duo.
La discografia di King e Buford non ha mai avuto elementi di leggerezza, sotto davvero nessun punto di vista, ma con “The Crying Out Of Things” il duo americano raggiunge probabilmente lo stadio più devastante del proprio modo di intendere la desolazione e il terrore, quello che ti attanaglia, che ti stringe forte il petto da dentro e non ti consente quasi più di respirare. Quello che cresce fin dall’iniziale Last Things in un guazzabuglio di rumori industriali, distorsioni da scenario post apocalittico e urla effettate che straziano la già funerea elettronica dell’intero disco. Ed è proprio il connubio tra l’elettronica ai limiti della dub e le urticanti divagazioni doom di pezzi come Removal a segnare la discesa negli inferi di King e Buford, che ci fanno passare per quella mitragliatrice che è Less Meaning, per il post rock nichilista di A Premonition e la spettrale liturgia di All Worries, che chiude l’album nel modo più brutalmente consono.
Il muro di rumore costruito dai The Body è estremo perché non lascia emergere neanche un nanosecondo di melodia, la strumentazione classica (in modo particolare la chitarra di Chip King) viene letteralmente sommersa e annichilita dalle distorsioni e dagli effetti, anche nelle dilatazioni dell’accennato sludge (siamo consapevoli della fatica necessaria a scovarlo) di End Of Line, che perde fin da subito i suoi riferimenti più canonici, così come nella soffocante ambient di The Building, che suggerisce quantomeno un’iniziale disturbata e disturbante linea melodica. “The Crying Out Of Things” è un disco in conflitto con se stesso, coi suoi artefici e con il mondo circostante, cacofonico per concetto e drammaticamente crudo nella sua realizzazione, un disco che difficilmente potrà attecchire su chi non ha già avuto dimestichezza con l’universo sonoro dei The Body.
2024 | Thrill Jockey
IN BREVE: 3,5/5