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The Jesus Lizard – Rack

Sono passati tanti anni. Tantissimi anni. Era il 1991, ed improvvisamente ad un ragazzo piccolino dagli occhi azzurri e un talento immenso, piove dal cielo una corona: quella di Re Rivoluzionario del Rock. Del resto ha letteralmente cambiato il mercato discografico da solo, e chi c’era sa che non è un’iperbole. Sono passati tanti anni. Quel piccolo Re, che quella corona non la voleva per niente, ricorderà la famosa massima di Ben Parker, zio di Peter: “Da un grande potere derivano grandi responsabilità”, e con quel potere cercherà di far accadere cose positive a chi lo merita.

Ad esempio, ai Jesus Lizard di Chicago, band che nasce dalle ceneri degli Scratch Acid, violentissimo gruppo noise di Austin, Texas tra i preferiti di Kurt, voglio dire del Reuccio Rivoluzionario. I Jesus Lizard, prediletti di Steve Albini – altro personaggio al quale il Reuccio Riluttante cercò di dare il risalto che meritava – erano una band che praticamente non poteva sbagliare: nel momento in cui vengono chiamati per dividere un singolo coi Nirvana avevano pubblicato tre album ed un EP, tutti perfetti. E su quel singolo loro ci mettono il loro pezzo più radiofonico, la chicca. E grazie a quel Reuccio Riluttante, strappano alla Capitol un bel contrattino e uno “Shot” (titolo di quel primo album su una major) al grande successo.

Ma nel frattempo quel talentuoso ragazzo biondo che aveva tanto sognato il successo e che, ottenutolo, lo aveva trovato vacuo e quasi insopportabile, era volato via, passato nel nostro firmamento come una cometa luminosissima; ciò significava che tra quelli che tirano fuori i dindi non gliene fregava più un cazzo a nessuno di compiacerlo. C’era solo un tentativo malcagato di trovare una nuova gallina dalle uova d’oro, i “nuovi Nirvana”, senza peraltro capire chi fossero i vecchi Nirvana. Questa gallina dalle uova d’oro non poteva certamente essere David Yow, il cantante dei suddetti Jesus Lizard, feroce bestia indomabile che “sembra una vittima di rapimento che cerca di urlare attraverso il nastro telato messogli sulla bocca” (Michael Azerrad); né potevano essere i suoi allegri compari: David W. Sims, Duane Denison e Mac McNeilly, straordinari musicisti ma non certo amanti delle luci della ribalta. 

Sono passati tanti anni, tantissimi anni. E queste cose, delle quali oggi probabilmente non frega un cazzo a nessuno, per noi erano importanti. Vitali, quasi. “Our band could be your life”, era titolato un eccellente libro del citato Azerrad, parafrasando un pezzo dei Minutemen. Tantissimi anni. Ventisei fottuti anni, ad essere precisi. 

In quel passaggio alla Capitol, i Lizard avevano perso Albini (ci sarebbe molto da dire qui, ma non è il momento), che sostanzialmente era la loro anima gemella, il perfetto nocchiero per il carro. E i due produttori al lavoro su “Shot” (1996) e “Blue” (1998), seppur eccellenti professionisti, non erano riusciti appieno a far collimare il loro lavoro con i pregi della band. Oggi, incredibilmente, nonostante il rock sia agonizzante, è un momento largamente migliore per la musica dei Jesus Lizard rispetto al 1996 o del 1998, era del dominio del pop punk, delle boy band e di Britney Spears. Il successo di band eccellenti come Fontaines D.C. o IDLES rende questo il miglior momento possibile per questo Rack, settimo album in studio della band. 

Già da Hide And Seek, primo brano dell’album, è immediatamente chiaro che i Lizard siano in una forma eccelsa: questo non è un album per i nostalgici, questo non è il fottuto “13” dei Black Sabbath. La tensione dell’intro basso e batteria di Alexis Feels Sick risolta nel riff di Denison e nel grugnire infuriato di Yow può riportare a tantissimi anni fa, ma non come effetto nostalgia; qui tutto è fresco di giornata, vibrante, vivo. Paul Allen, l’uomo dietro al mixer, capisce esattamente cosa serve alla band e ritrova la magia persa con GGGarth e Andy Gill, la stessa magia che permeava gli album registrati con Albini. In What If? ad esempio il riff vagamente psichedelico e la voce sono in un perfetto equilibrio con la parte ritmica, cavernosa e tesa; in Lord Godiva il brutale assalto noise ha un suono perfettamente spazioso, nel quale i quattro strumenti (perché tale è la voce di Yow) trovano ognuno il loro posto senza pestarsi i piedi.

Non c’è un cazzo da avere nostalgia perché i Jesus Lizard sono ancora qui e non imitano se stessi, anzi: trentasei minuti di musica perfetta che compete alla pari con quanto di meglio può offrire oggi il rock.

2024 | Ipecac

IN BREVE: 4/5

Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.

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