Magus, quinto full lenght in poco più di un decennio, è infatti stato anticipato da ben tre EP pubblicati in una manciata di mesi e caratterizzati da approcci talmente differenti tra loro da risultare particolarmente ostici nell’identificazione. Dal drone limitatamente minimalista di “The House Primordial” al grunge doomeggiante di “Rhea Sylvia” passando per il (quasi) indie acustico di “Inconsolable”, i tre lavori frutto della incontrollabile irruenza compositiva dei Thou sono materiale atto ad arricchire un percorso di consapevolezza musicale per nulla banale, che prende forma da ogni singola influenza e si completa nell’unico vero album partorito dal combo statunitense negli ultimi quattro anni.
L’evoluzione rispetto al passato è netta; in un baritonale incedere sonoro che mescola una prepotente base sludge a un riffing lento e profondo nella sostanza i ritmi mutano e trovano differente dimensione. Il precedente “Heaten” (2014) era un disco scolasticamente perfetto per i dogmi del genere: vario e cattivo, senza tanti fronzoli esprimeva l’idea di musica dei Thou presentando un songwriting completo e avvincente, ricco di elementi complementari. “Magus” fa un passo ulteriore in termini di profondità, le singoli componenti sono ben distinte e le sensazioni evocate più limpide. Migliora la produzione di tutto il comparto sonoro e c’è anche spazio per inserti melodici, come in Sovereign Selfe Elimination Rhetoric, che più si legano a un certo stoner di matrice inglese (leggasi: Elder). La chitarra si erge a sicura protagonista del lavoro. È attraverso decine di riff scuri e profondi (splendidi quelli di In The Kingdom Of Meaning)che “Magus” si sviluppa per settantacinque lunghi minuti, mostrando al suo pubblico tutta l’attenzione posta nella ricerca durante la scrittura del disco, in primis nel comparto chitarristico.
Nonostante tutte le note positive, è dopo svariati ascolti di “Magus” che vengono a galla le questioni che limitano non tanto la fruibilità quanto la longevità del disco. L’eccessiva lunghezza del platter, potenzialmente un pregio se fosse valorizzata dalla varietà del recente passato, risulta alla lunga un limite considerevole. Le svariate tracce nell’ordine dei dieci minuti subiscono senza ombra di dubbio una certa staticità della componente ritmica, che spesso porta i brani a non evolvere e risultare prolissi. Questo, assieme al totale abbandono di una qualsiasi forma di uptempo, potrebbero far storcere il naso a qualche ascoltatore di lunga data, affezionato a una musica che comunque in gran parte non c’è più.
Bel disco, ben confezionato e frutto di un pensiero maturo, per certi versi persino visionario e avanguardistico nel mondo sludge (non c’è nulla di troppo simile ai Thou attuali, sia ben chiaro) ma con una gestione più lungimirante dei tempi e nello sviluppo dei brani avrebbe di sicuro potuto essere uno dei dischi fondamentali di questo 2018.
(2018, Sacred Bones)
01 Inward
02 My Brother Caliban
03 Transcending Dualities
04 The Changeling Prince
05 Sovereign Self
06 Divine Will
07 In The Kingdom Of Meaning
08 Greater Invocation Of Disgust
09 Elimination Rhetoric
10 The Law Which Compels
11 Supremacy
IN BREVE: 3,5/5