Diamanti – anni addietro – di una scena new acoustic movement tutta british (insieme a Kings Of Convenience e tanti altri), la band in questo nuovo disco introduce sempre quel sottile dinamismo pop, ma che ad un ascolto acuto dimostra una debolezza di fondo, una sovrapposizione di suoni e umori troppo ricalcanti il (stra)sentito, una scaletta – di undici brani – che nonostante la piacevolezza, nulla danno e nulla tolgono a quanto già collezionato dalla band. Andando in giro random per la tracklist troviamo il folk solitario di Martini, i Radiohead più introversi in Black Rabbit, il romanticume che fa glucosio nella title track.
Ma per aspettarci materiale più sostanzioso (per usare un eufemismo) bisogna sintonizzarsi sulle trame psichedeliche che avvolgono Hope We Make It e gli Ottanta che scalciano educatamente in Rome, e allora si che un tantino qualcosa si smuove nell’orecchio, ma è solo la giusta dose sindacale che fa salvare in corner l’intero lotto. Per i londinesi l’onore dei bei tempi è ancora intatto, ma oggi, con questi tempi che corrono non garantiamo nulla. Poi, chi si accontenta gode lo stesso.
(2016, Cooking Vinyl)
01 96
02 Keep Me Around
03 The Quiet Ones
04 Lost Property
05 Rome
06 Brighter Than The Dark
07 Save You
08 Martini
09 Jump Start
10 Hope We Make It
11 Black Rabbit
IN BREVE: 2/5