Dall’evoluzione in chiave vichinga dei sopracitati Bathory alla tolkeniana rivisitazione del duo svizzero Summoning, passando per le sperimentazioni ambient di un’istituzione come Burzum fino all’avanguardia di Ulver e Arcturus; la pazzia satanica dei primi anni ’90 (leggasi “Inner Circle”) ha rapidamente lasciato il posto a un approccio del tutto particolare, un’attitudine alla ricerca sonora che ha rivoluzionato un filone che nella sua forma primitiva è stato tanto affascinante quanto ben identificabile in un preciso periodo storico.
In tempi recenti sono numerose le realtà che han proseguito nello sviluppo di una nuova identità di genere, ma che avesse comunque nel cuore black la base ideologica, per lo meno dal punto di vista musicale: tra lo studio progressivo di gente come i Cormorant e le psichedeliche visioni di rarità come gli Oranssi Pazuzu, gli americani Wolves In The Throne Room hanno lentamente concimato il loro orticello, coltivato a suon di black metal atmosferico.
La band, originaria dello stato di Washington, dal proprio esordio con l’ottimo “Diadem Of 12 Stars” (2006) ha intrapreso un percorso fatto di eterea malignità, con il non semplice accostamento di melodia e cattiveria resa già celebre oltreoceano da altri esponenti di quel movimento che prende il nome di black metal “Cascadico” (la macroregione definibile come la Scandinavia d’America), tra cui, primi su tutti, i pionieristici Agalloch. Il cammino dei lupi è entusiasmante, ma si conclude nel 2014 con l’uscita di “Celestite”, LP dal controverso approccio ambient, costituito nella sua interezza da sognanti sintetizzatori che per quanto ostentino la voglia di osare da parte dei fratelli Weaver, altro non fanno che troncare di netto una carriera già del tutto decollata.
Thrice Woven chiude questa breve parentesi sperimentale per un deciso ritorno al sound degli albori; il risultato è fenomenale e candida questo lavoro a essere serio contender per il titolo di disco black metal del 2017. Non solamente i Wolves In The Throne Room ritrovano l’ispirazione in parte venuta a mancare nel corso degli anni, ma confezionano un LP esente da fragilità e che ha nel quasi perfetto mix dei suoi elementi cardine il proprio punto di forza. Ogni bravo di “Thrice Woven”, eccezione fatta per l’intermezzo Mother Owl, Father Ocean, è un itinerario musicale a sé ben definito. Quattro lunghi racconti del terrore carichi di oscurità che progrediscono indipendentemente grazie al saggio utilizzo della melodia e della componente atmosferica soltanto quando necessaria, senza guastare il tappeto sonoro di matrice black (con qualche passaggio doom), essenziale perno della proposta dei tre americani.
L’incedere del disco è un perfetto scontro di ideali: le parti tirate, di classica estrazione Emperor ma personalizzate dall’esperienza maturata dai Wolves nel corso degli anni, contrastano con arrangiamenti più cadenzati di natura tastieristica che potrebbero essere accostati a quanto offerto da chi, come gli svizzeri Summoning, ha fatto del sapiente uso dei sintetizzatori il proprio fondamento. Le numerose pause atmosferiche, oltre a completare il concetto musicale alla base del lavoro, amalgamano le diverse sezioni dei brani e giovano del supporto della soave voce della cantante svedese Anna Von Hausswolf (come in Born From The Serpent’s Eye) e della comparsata di Steve Von Till dei Neurosis (su The Old Ones Are With Us) con un interpretazione epica ed evocativa.
Quale sarà il percorso evolutivo che il black metal affronterà nei prossimi anni, ora non ci è dato saperlo. Allo stato attuale, di certo c’è che i Wolves In The Throne Room hanno legittimato un posto fondamentale nel gotha di questo genere così controverso e multiforme e con “Thrice Woven” hanno raggiunto un livello d’eccellenza con cui è attualmente difficile competere.
(2017, Artemisia)
01 Born From The Serpent’s Eye
02 The Old Ones Are With Us
03 Angrboda
04 Mother Owl, Father Ocean
05 Fires Roar In The Palace Of The Moon
IN BREVE: 4,5/5