L’uscita di “Document”, nel 1987, era stata per gli R.E.M. la definitiva consacrazione, portandoli a guadagnare a tutti gli effetti lo status di star dalla caratura mondiale. Assodata l’impossibilità dell’etichetta indipendente I.R.S. Records, che aveva pubblicato i loro dischi fino a quel momento, di soddisfare le loro ormai enormemente cresciute necessità promozionali, Michael Stipe e soci decidono così di farsi corteggiare dalle major per strappare il contratto discografico più conveniente, non solo dal punto di vista strettamente economico. Le prestazioni della band se le assicura così la Warner, che mette le proprie mani sugli R.E.M. garantendogli però un controllo totale dal punto di vista artistico, in pratica ciò che ai quattro premeva di più ottenere, proprio per non perdere il contatto con quella che era la natura stessa della band.
La prova del nove della nuova sinergia discografica gli R.E.M. la affrontano subito incidendo e pubblicando nel Novembre dell’88 Green, album che accentua in modo deciso la verve politica della penna di Michael Stipe. A partire dal titolo (che fa riferimento tanto alle tematiche ecologiste molto care alla band, quanto al colore di quei dollari croce e delizia non solo degli Stati Uniti ma dell’intero sistema occidentale) e dall’artwork, quello che dipingono gli R.E.M. col nuovo album è un ritratto del mondo in cui vivono e nello specifico delle contraddizioni tipicamente e tragicamente americane: World Leader Pretend, ad esempio, si scaglia neanche troppo velatamente contro le politiche di Ronald Reagan, Presidente degli Stati Uniti d’America proprio mentre i quattro lavorano al disco, mentre Orange Crush parla di armi chimiche (il cosiddetto “agente arancio” era un defoliante ampiamente usato in Vietnam dall’esercito americano) in un’epoca in cui la guerra fredda stava finalmente per esaurirsi non senza strascichi.
Ciò che non manca in “Green”, e che in larga parte aveva rappresentato anche il motivo principale dell’interesse delle major nei confronti della band, è l’aspetto melodico che fa di pezzi come Pop Song 89, Get Up o Stand delle colle a presa rapida che s’attaccano alle classifiche per non lasciarle più; per la prima volta, inoltre, compare fra le mani di Peter Buck quel mandolino che qualche anno dopo segnerà la storia della band (leggasi alla voce “Losing My Religion”, da quel “Out Of Time” che solo tre anni dopo, nel 1991, li renderà definitivamente immortali) e che in “Green” marchia a fuoco la meravigliosa ballata You Are The Everything. La Warner capisce di aver fatto il colpaccio, “Green” vende ben oltre il doppio del già dirompente “Document”, inaugurando così la nuova stagione major degli R.E.M. che toccherà il suo apice nel decennio successivo.