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Kid A: alienazioni e distopie dei Radiohead del nuovo millennio

“Yesterday I woke up sucking on a lemon / (…) There are two colors in my head / What is that you tried to say”. C’è dell’evidente dadaismo in questi versi: il biglietto da visita di Kid A è straniante e onesto al tempo stesso. È la prima volta in cui i Radiohead hanno la possibilità di dire al mondo che il loro percorso non necessita di comfort zone. Un rischio, certo, ma con la consapevolezza di avere qualche credito da riscuotere dopo i due dischi precedenti. L’effetto di “The Bends” (1995), prima, e “Ok Computer” (1997), poi, sulla fine degli anni ’90 è stato deflagrante. Mentre la guerra senza quartiere anima le file ingolfate del britpop, i Radiohead, sornioni, si defilano aprendo varchi alternativi nell’agone discografico britannico.

Il prodotto di questa scelta è “OK Computer” del ’97 ai cui effetti, però, si dimostrano non pronti:la risposta positiva di pubblico e addetti ai lavori gli scoppia un po’ tra le mani, rendendo emotivamente complicata la gestione di questa sovraesposizione. Sono arcinote le paturnie di Yorke in quel periodo, in cui arriva anche a pensare di mollare. Se non definitivamente, almeno per un po’. Poi qualcosa si sblocca, si incanala nel versante giusto e sfocia in una bulimica produzione da cui derivano “Kid A” e “Amnesiac” (2001).

Il clima claustrofobico che si respira in “Kid A” è figlio di questi tre anni di sconvolgimenti emotivi, ma è anche espressione di una convincente capacità di lettura del presente. Un’attualità che fa i conti con l’inizio di un millennio nuovo, in cui la tecnologia avrebbe avuto un ruolo sempre più centrale in ogni campo della produzione e del sapere. L’approccio antropocentrico comincia a cedere il passo alle macchine. Sul versante musicale questo è percepibile nell’affermazione di un’elettronica che rifugge dalla mera finalizzazione da club per inseguire una dimensione più coesa, in competizione con il pop e con il rock. Sono gli anni in cui la Warp Records lancia una metaforica OPA sulla scena elettronica, pubblicando pietre miliari di artisti del calibro di Autechre, Boards Of Canada e Aphex Twin. Un’ossessione per Thom Yorke in cui inserire prepotentemente il frutto delle sue elucubrazioni mentali: “Kid A”.

L’intro di Everything In Its Right Place è una dichiarazione d’intenti: poche note di sintetizzatore solenni e spiazzanti. Una scelta non convenzionale, dunque: chi si aspettava spade, si è trovato di fronte a sciabole frantumate. Segue una title track pienamente immersa in questo nuovo processo creativo: uno stillicidio di suoni e beat accarezzati dalle parole biascicate e distorte dalle macchine. L’androide paranoico di “Ok Computer” sembra essersi palesato e sembra parlare come un ventriloquo. Altro tema – più marcato ed evidente in “Amnesiac” – è quello della contaminazione sonora, determinata dall’uso di strumenti che compaiono per la prima volta nell’affresco sonoro dei Radiohead. La fiammata crepuscolare e liberatoria di fiati, di chiara estrazione jazzistica, che contraddistingue il finale di The National Anthem, ne è un esempio. Ovvero le Onde Martenot usate da Jonny Greenwood in How To Disappear Completely: paradigma di un embrionale concetto di rarefazione sonora.

La prosa rock non manca, tuttavia, sebbene sia relegata ad un episodio sparuto. È il caso di Optimistic: un unicum nell’universo distopico di “Kid A”. Il battito d’ali di un colibrì: impercettibile ma presente. Il cuore pulsante di questa scelta stilistica e concettuale, però, è la doppietta Idioteque/Morning Bell: un concentrato di glitch sincopati e armonie disallineate che danzano sul baratro di imminenti scenari catastrofici. Rappresentano l’emblema di un’estetica ricalibrata verso l’errore: da qui possono innervarsi prospettive diverse, non considerate prima. Il basso di Colin Greenwood – già protagonista in The National Anthem – accompagna gli istanti finali di Morning Bell prima che il mesto organo di Motion Picture Soundtrack ridia fuoco alle braci di un disco che si appresta a calare il sipario. È l’elegia mancante nel mondo alienato dipinto da Yorke e soci, l’ultimo sussulto della creatura del nuovo millennio.

Nasco a S. Giorgio a Cremano (sì, come Troisi) nel 1989. Cresco e vivo da sempre a Napoli, nel suo centro storico denso di Storia e di storie. Prestato alla legge per professione, dedicato al calcio e alla musica per passione e ossessione.

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